percorso a cura di Piero Patteri

Nonostante il successo delle tecniche elettroniche, lo strumento fondamentale per lo studio dei raggi cosmici erano comunque ancora le lastre fotografiche, esposte ad alta quota per poter osservare le particelle subnucleari a vita breve quanto più vicino al punto di produzione, nella collisione con i nuclei dell'aria nell'alta atmosfera.

Nacque così nel 1950 il primo laboratorio dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare icona_linkesterno : una baita al Plateau Rosa, sul monte Rosa a 3000 metri sul livello del mare.

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Il laboratorio per i raggi cosmici sul Plateau Rosa.

Il laboratorio per i raggi cosmici sul Plateau Rosa. I fisici cominciavano però ad essere convinti che il futuro della ricerca doveva basarsi sugli acceleratori di particelle. Amaldi aveva cercato a più riprese nei primi anni del dopoguerra di ottenere i finanziamenti per la costruzione di un acceleratore nazionale. Da questi sforzi sarebbero nati, alcuni anni più tardi, l'elettrosincrotrone e i Laboratori Nazionali di Frascati icona_linkesterno , ma intanto il divario tra le risorse necessarie per restare competitivi nella fisica nucleare e quelle disponibili era sempre crescente. Il grande sviluppo che nel periodo bellico avevano avuto i laboratori americani, poi convertiti in gran parte a ricerche di interesse scientifico e industriale, rendeva difficile all'Italia e agli altri paesi europei reggere isolatamente il confronto con quelli americani. Nel generale clima di ricostruzione dell'Europa e della nascita delle prime istituzioni comunitarie maturò la convinzione che i paesi europei dovessero unire i loro sforzi per la realizzazione di un grande laboratorio di fisica, che sarà poi il CERN icona_linkesterno (Centro Europeo per le Ricerche Nucleari).