di Marco Casolino,  in redazione: pp 

Già nei primi anni ’30 l’astronomo svizzero Fritz Zwicky icona_biografia, si rese conto per primo del problema della massa mancante. Osservando l’ammasso di galassie della costellazione della Chioma di Berenice comprese che la loro velocità era troppo alta: l’attrazione gravitazionale di tutte le stelle, pianeti e gas presente nelle galassie dell’ammasso non era sufficiente per contrastare la loro velocità e queste sarebbero dovute volar via allontanandosi tra loro. Ipotizzò quindi che ci dovesse essere dell’ulteriore materia, almeno qualche centinaio di volte più abbondante di quella visibile dal telescopio, che teneva insieme l’immensa struttura.

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Figura 3.1 L’ammasso di galassie nella costellazione della Chioma di Berenice. Immagine a falsi colori: blu – visibile (Sloan Digital Sky Survey) rosso e verde - infrarosso (NASA Spitzer Space Telescope.

Sul momento gli articoli di Zwicky non ebbero un gran seguito, lo scienziato era noto per esser brillante ma dal pessimo carattere e molte delle sue idee rimasero inascoltate per decenni.

Fu necessario attendere sino agli anni ’60 quando Louise Volders e Vera Rubin, misurarono con precisione la velocità di rotazione delle stelle delle galassie. Al tempo si riteneva che la maggior parte della massa di una galassia dovesse trovarsi nel suo centro: in analogia con i pianeti del sistema solare, le stelle   avrebbero dovuto muoversi sempre più lentamente man mano che ci si spostava nella periferia galattica.

 

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Figura 3.2: La galassia M33, la prima a mostrare una rotazione inaspettata ed inspiegabile tenendo conto delle sole stelle visibili.

Le due astronome dimostrarono invece come la velocità rimanesse costante anche lontano dal centro galattico, segno che ci doveva esssere della materia invisibile presente in tutta la galassia. Il contributo di questa materia agiva come una melassa che trascina con sè tutte le stelle alla stessa velocità.

Negli anni, i dati delle curve di rotazione galattiche e degli ammassi di galassie sono stati confermati più volte e su più oggetti.

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Figura 3.3 La curva di rotazione di una galassia: in verde  la velocità misurata, costante verso la periferia e in rosso quella attesa in assenza di materia oscura, tenendo conto delle sole stelle visibili.

Negli anni il miglioramento delle osservazioni astronomiche ha fornito ulteriori e disparate prove a favore dell’esistenza della materia oscura:

1. Raggi X. L’emissione di raggi X icona_glossario icona_esperto[160] del gas di idrogeno che cade nella buca dell’ammasso ha confermato la presenza di un eccesso di massa.

2. Lenti gravitazionali. I raggi luminosi di una sorgente – ad esempio il quasar in figura 3.4 – sono deviati se passano in prossimità di un corpo massivo. Questa predizione della Relatività Generale icona_glossario fu utilizzata nel 1919 per ottenere una prima conferma alla teoria di Einstein icona_biografia.

Come una gigantesca lente, una galassia può ingrandire e riprodurre la luce che la attraversa nel suo lungo viaggio. Di solito la galassia “lente” è chiaramente visibile. Tuttavia talvolta si osserva l’effetto di lensing senza indentificare alcun oggetto: in quel caso si suppone che ciò sia dovuto a materia oscura interposta tra noi e l’oggetto ingrandito.

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Figura 3.4 Il fenomeno della lente gravitazionale.

3. Scontro di Galassie. Osservazione del Bullet cluster, in cui due galassie si sono scontrate tra loro, mostrano come materia ordinaria (vista ai raggi X) ed oscura (identificata tramite l’effetto di lente gravitazionale) si comportino come due fluidi diversi – e vadano a trovarsi in punti diversi in virtù delle loro differenti interazioni icona_glossario .

4. Simulazioni al computer. Le simulazioni numeriche della formazione delle galassie e della distrubuzione degli ammassi di galassie nel nostro Universo riescono a riprodurre le osservazioni solo introducendo la presenza di una cospicua massa di tipo diverso da quella ordinaria.

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3.5 L’effetto di una lente gravitazionale: l’oggetto RXJ1131-1231. La galassia al centro della figura è più vicina a noi e distorce lo spazio retrostante, creando immagini multiple ed ingrandite del quasar posto alle sue spalle e della galassia in cui si trova (anello di Einstein)

La spiegazione maggiormente coerente con questi dati è che la materia oscura sia costituita da una particella che interagisce solo gravitazionalmente e secondo la forza nucleare debole. La materia oscura è stata prodotta nei primi istanti dopo il Big Bang, quando la temperatura del nostro Universo era così alta da produrre gran quantità di questa pur massiva particella. Al tempo, le interazioni subnucleari tra materia barionica (di cui stelle e galassie sono costituite) e la materia oscura erano continue ed uniformi. Con l’espansione ed il raffreddamento dell’Universo l’energia e la probabilità di interazione è scesa drasticamente, lasciando che materia ordinaria ed oscura non interagissero più tra loro se non tramite l’attrazione gravitazionale.

Ma quindi di che cosa è fatta la materia oscura? Ci sono molte ipotesi ma nessuna certezza: la teoria più accreditata è che possa essere l’elemento più leggero di una famiglia di particelle a noi ancora sconosciuto. Le teorie supersimmetriche ipotizzano infatti che ogni particella elementare del nostro Universo (quark, elettroni, fotoni) abbia un gemello più pesante ancora inosservato. L’elemento più leggero di questo nuovo zoo subatomico potrebbe proprio essere il candidato di materia oscura. Questo sarebbe stabile e potrebbe solo interagire flebilmente con il nostro universo, rendendone la ricerca estremamente difficile.

Vi sono anche teorie che cercano di spiegare le osservazioni tramite modifiche ed estensioni alla forza di gravità: l’ipotesi è che a lunghe distanze l’attrazione newtoniana sia diversa da quella che percepiamo su scale locali come ad esempio nel nostro sistema solare. Le teorie MOND (Modified Newtonian Dynamicsicona_linkesterno) riescono però a descrivere solo le curve di rotazione della galassie, senza essere in accordo con le altre osservazioni sopra citate.