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La luce ha sempre viaggiato alla stessa velocità? abbiamo evidenza del fatto che “c" sia veramente costante? (Federico)

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Per vedere se abbiamo una risposta a questa domanda, partiamo da un fatto che viene spesso confuso, o dimenticato: la Relatività Speciale non dice nulla sul valore della velocità della luce (indicato con “c”, dal latino celeritas), né sul fatto che questo valore debba essere “costante”, cioè lo stesso in ogni luogo e in ogni tempo.

L’assunzione su cui si fonda la Relatività Speciale non è che “c” sia costante, ma che esso sia “invariante”, cioè che abbia stesso valore (299792.458 km/sec) se misurato da osservatori diversi in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro (osservatori inerziali).

Da questa sola assunzione, unita al “Principio di Relatività di Galilei” (che dice che quiete e moto uniforme sono concetti relativi e non assoluti), Einstein derivò la conseguenza della dilatazione del tempo e della contrazione dello spazio, che avviene tra osservatori a diversa velocità.

La necessità di questa assunzione deriva dal fatto che le equazioni dell’elettromagnetismo di Maxwell devono valere per qualunque osservatore inerziale (cioè devono essere invarianti) e le equazioni che si derivano per calcolare il valore della dilatazione del tempo e della contrazione dello spazio prendono il nome di “trasformazioni di Lorentz”. Esse mostrano come “c” venga ad essere una velocità limite, che non può essere superata  .

Queste equazioni di Lorentz possono essere derivate in un modo ancor più generale di come ha fatto Einstein, usando il “Principio di Uniformità di Spazio e Tempo” (cioè l’assunzione che lo spazio sia uguale in ogni punto e il tempo sia lo stesso in ogni istante) al posto dell’invarianza della velocità della luce.

Non entriamo nei dettagli (che il lettore interessato può trovare in questo articolo: «Derivation of the Lorentz Transformation», Victor Yakovenko, Department of Physics, University of Maryland, College Park, 15 November 2004, http://www2.physics.umd.edu/~yakovenk/teaching/Lorentz.pdf), ma la conclusione di questa generalizzazione è che “in qualsiasi universo in cui valgono il Principio di Uniformità di Spazio e Tempo e il Principio di Relatività di Galilei deve esistere una velocità limite Vlimite il cui valore non viene determinato dalle equazioni, ma può essere finito o infinito ed è invariante per trasformazioni inerziali”.

Se questa Vlimite è infinita, allora siamo in un universo di Newton, in cui lo spazio e il tempo sono assoluti (non si dilatano e contraggono con la velocità) e in cui non c’è un limite fisico alle velocità (cioè la velocità limite è infinita).

Se invece Vlimite è finita, allora siamo in un universo di Einstein, in cui spazio e tempo sono relativi e c’è un limite fisico alle velocità.

Nel nostro Universo, per motivi che ignoriamo, accade che questa Vlimite sia finita e valga 299792.458 km/sec, cioè “c”.

Ora facciamo un discorso qualitativo. Il secondo principio della dinamica, cioè la famosa formula “F=ma”, ci dice che se un oggetto ha una massa “m” piccolissima, basta una minima forza “F” per accelerarlo con una grande accelerazione. A quel punto basta che questa forza duri per un brevissimo tempo per portare l’oggetto a una velocità molto elevata. Possiamo convincerci facilmente che una particella di massa “m” infinitesima non potrebbe che trovarsi a un’enorme velocità, poiché basterebbe la minima perturbazione per farla schizzar via. Al limite, se la massa fosse zero, come quella della luce, la particella dovrebbe andare per forza alla massima velocità possibile, Vlimite, infinita in un universo di Newton, finita in un universo di Einstein.

Questo è anche il risultato della Relatività Speciale: se una particella ha massa nulla va necessariamente a velocità “c”.

Perciò NON è la velocità della luce a stabilire la velocità limite, ma il contrario!

La velocità della luce NON può cambiare: la luce va sempre, e soltanto, alla velocità limite dell’Universo.

La domanda del titolo dunque va riformulata in questo modo: “La velocità limite dell’Universo è stata sempre la stessa? E se nel passato fosse stata diversa, come potremmo saperlo?”.

Possiamo saperlo proprio sfruttando il fatto che dalla velocità limite dipende la velocità della luce, cioè della propagazione del campo elettromagnetico, e dalla velocità della luce dipende il valore di una costante fisica, detta “costante di struttura fine”, che esprime l'intensità dell'interazione elettromagnetica.

Una misura del valore di questa costante nel lontano passato ci direbbe quant’era a quel tempo la velocità della luce e quindi la velocità limite dell’Universo.

Questa costante è un numero, chiamato "α", che attualmente vale circa 1/137. Se questo valore fosse diverso sarebbe diversa, per esempio, la forza di accoppiamento tra elettroni e nuclei atomici, quindi sarebbero diverse le dimensioni degli atomi e quindi sarebbero diverse le separazioni in frequenza della luce emessa, o assorbita, dai diversi orbitali elettronici di un dato elemento chimico.

Quello che si può fare perciò è misurare, tramite uno spettroscopio, le frequenze di emissione o assorbimento prodotte dall’idrogeno, presente ovunque nell’Universo, in nubi di gas idrogeno lontane miliardi di anni luce da noi e che quindi vediamo com’erano miliardi di anni fa.

Per farlo, gli astronomi osservano sorgenti ai confini dell’Universo, chiamate “quasar”, la cui luce viene assorbita dalle numerose nubi di idrogeno che man mano il segnale incontra nel percorrere l’enorme distanza per arrivare fino a noi.

Ogni assorbimento crea una riga scura nello spettro del quasar, ma la posizione di questa riga è ogni volta diversa, a causa dello spostamento Doppler dovuto all’espansione dell’Universo per la quale ognuna di queste nubi si allontana da noi a velocità tanto maggiore quanto maggiore è la sua distanza.

La misura dello spostamento Doppler delle righe spettrali ci dice quindi quanto è distante da noi ogni nube di idrogeno tra la Terra e il quasar.

Ma ogni nube ha anche una distanza diversa dallo stesso quasar e così riceve la sua luce in tempi diversi. Se la costante di struttura fine “α" variasse con l’età dell’Universo, le orbite degli elettroni dell’idrogeno sarebbero diverse a età diverse e di conseguenza la separazione in frequenza della serie di righe spettrali sarebbe diversa per ogni nube, indicando un diverso valore di α e quindi un diverso valore della velocità della luce “c”.

In conclusione, misurando le serie di righe di assorbimento dell’idrogeno degli spettri dei quasar lontani possiamo calcolare quant’era la velocità della luce nel passato.

Le misure effettuate ad oggi non ci danno ancora una risposta precisa, poiché si tratta di segnali estremamente deboli, anche se propendono per una variazione (dell'ordine del centomillesimo) della costante “α", e quindi della velocità della luce “c”, ma non è detto che non sia un effetto spurio dovuto ad altri fenomeni sovrapposti, o ad artefatti strumentali.

Sono in costruzione spettroscopi più sensibili per risolvere l'enigma, si tratta solo di attendere la loro messa in opera e proseguire le osservazioni.

Gianluca Li Causi, fisico

ultimo aggiornamento giugno 2017