Oreste Piccioni nasce il 24 ottobre 1915

 Biografia della rubrica “Vita da genio” a cura di Chiara Oppedisano

Oreste Piccioni, immagine della Library Digital Collection UC San Dieg, This digital copy of the work is intended to support research, teaching, and private study.

Luis Alvarez, premio Nobel nel 1968 per le sue fondamentali scoperte nel campo della fisica delle particelle, nel suo discorso all’Accademia di Stoccolma disse: «Ritengo che la moderna fisica delle particelle abbia avuto inizio negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, quando un gruppo di giovani italiani, Conversi, Pancini e Piccioni, mentre si nascondevano alle truppe di occupazione tedesche, cominciarono un notevole esperimento. Nel 1946 dimostrarono che il mesotrone non era la particella responsabile della forza nucleare». Oreste Piccioni, sotto i bombardamenti, ideò e portò a termine questo notevole esperimento a cui fece riferimento Alvarez che aprì nuove frontiere nella fisica delle particelle. E non fu che l’inizio.

Oreste Piccioni nacque a Siena il 24 ottobre 1915. Trascorse l’infanzia e gli anni di studio a Grosseto, che lasciò quando fu ammesso al corso di laurea in fisica alla Scuola Normale di Pisa. Dopo soltanto un anno, però, decise di trasferirsi a Roma, dove il giovane professor Enrico Fermi iniziava a far parlare di sé, dei suoi esperimenti e del suo gruppo di fisici. Oreste si laureò proprio sotto la supervisione di Fermi nel 1938 con il massimo dei voti e la lode che, sosteneva, gli era stata attribuita “sulla fiducia”.

In quel momento i fisici non conoscevano che poche particelle: elettroni, componenti degli atomi, protoni e neutroni, costituenti del nucleo atomico, fotoni, quanti di luce e avevano supposto l’esistenza di neutrini, che per il momento restavano inafferrabili particelle di massa nulla o quasi. L’interesse era principalmente volto, da una parte allo studio del nucleo atomico e della radioattività, dall’altro allo studio dei raggi cosmici provenienti dallo spazio. Proprio in quegli anni, tra le particelle rivelate negli sciami generati dai raggi cosmici, ve ne era una che da subito destò l’interesse dei fisici: il mesotrone μ o, come lo chiamiamo oggi, il muone. Scoperto nel 1938, il mesotrone μ aveva una massa circa 200 volte quella dell’elettrone. Fu ipotizzato potesse trattarsi del “mesone di Yukawa”, ovvero la particella teorizzata dal fisico giapponese Hideki Yukawa  nel 1935 come responsabile delle forze nucleari. Questa particella doveva essere instabile con una vita media molto breve, dell’ordine di un microsecondo, un milionesimo di secondo. 

Pe misurare la vita media di questa particella che pioveva dal cielo, era necessario innanzitutto fermarla facendola interagire con la materia, e a questo scopo si utilizzava un blocco di un materiale pesante come il ferro. Poi era necessario misurare con precisione il tempo che intercorreva tra l’assorbimento del muone nel ferro e il suo decadimento, segnato dalla rivelazione di un elettrone per il muone di carica elettrica negativa o un positrone per il muone di carica positiva. A quel tempo l’elettronica utilizzata negli esperimenti non era così precisa da permettere misure significative e affidabili di tempi così brevi. E fu proprio in questo quadro che Oreste Piccioni diede il suo primo contributo fondamentale. Lavorava con Marcello Conversi e Ettore Pancini, altri due brillanti giovani fisici. Oreste ideò e sviluppò circuiti innovativi, basati su valvole a transconduttanza, capaci di misurare intervalli di tempo brevissimi, dell’ordine del microsecondo appunto, con ottima precisione.
Non appena l’apparato sperimentale fu pronto a prendere dati, nel luglio del 1943, cadde il governo fascista e Roma, come molte altre città italiane, fu teatro dei bombardamenti alleati. Dopo tanto lavoro i tre fisici non potevano lasciare che l’apparato andasse distrutto sotto i bombardamenti senza poter vedere alcun risultato. Così, con l’aiuto del professor Amaldi, allora direttore dell’Istituto di Fisica, particolarmente a rischio perche' si trovava nei presso dello scalo ferroviario di S.Lorenzo, teatro di massicci bombardamenti.  I fisici caricarono l’apparecchiatura su un carretto e la trasferirono negli scantinati del liceo Virgilio che, essendo vicino al Vaticano, si sperava fosse in una zona che sarebbe stata risparmiata dalle bombe. Lavorarono di nascosto, Piccioni e Conversi (Pancini era dovuto andare a combattere con l’esercito, ma aveva poi disertato e si era unito alla Resistenza). Alle quattro del pomeriggio scattava il coprifuoco a Roma, Conversi tornava a casa, Piccioni restava con un altro collaboratore, Lucio Mezzetti, esperto nel recuperare materiale elettronico al mercato nero. A notte fonda Oreste tornava guardingo verso casa, situata a cento metri dal liceo Virgilio, indossando scarpe di gomme per non farsi sentire. Nella primavera del 1944, con la fine definitiva del fascismo, Conversi, Pancini e Piccioni ottennero la prima misura della vita media del muone: τ = 2.3 ± 0.15 microsecondi. L’isolamento dovuto alla guerra aveva impedito loro di sapere che nel frattempo, al di là dell’oceano, anche un altro italiano, Bruno Rossi, aveva ottenuto una misura della vita media del mesotrone μ, che era in buon accordo con la loro.

 Conversi e Piccioni, Museo di Fisica Sapienza Università di Roma

Figura 1. Marcello Conversi e Oreste Piccioni nello scantinato del liceo Virgilio.

Inizialmente nessuno mise in dubbio che questa fosse proprio la particella predetta da Yukawa e che fosse pertanto prodotta nelle interazioni nucleari tra protoni e neutroni. Ma Oreste era sempre pronto a studiare un nuovo problema, a buttarsi a capofitto in una nuova sfida. Si interessò dunque a cercare di comprendere cosa accadeva ai muoni positivi e negativi una volta che penetravano nella materia. I teorici sostenevano che i muoni di carica negativa dovevano essere assorbiti dai nuclei (contenenti protoni con carica positiva). Oreste discusse con i teorici romani la questione. Gian Carlo Wick bofonchiò qualcosa sulla possibilità che i muoni negativi assorbiti emettessero un fotone di energia circa uguale alla loro massa. A Oreste non serviva altro che un “la” per iniziare una nuova campagna di misure. Utilizzando delle lenti magnetiche, ideate da Bruno Rossi, si potevano selezionare muoni di una sola carica (positiva o negativa). Per rivelare i fotoni previsti di Wick, decisero di sostituire il blocco di ferro con un materiale meno denso, scegliendo la grafite, ed aggiunsero dei cilindri di carbonio. 

 Museo di Fisica Sapienza Università di Roma

Figura 2. Le lenti magnetiche utilizzate da Conversi, Pacini e Piccioni per selezionare i muoni di carica differente.

Adesso immaginatevi le aspettative: si pensava dunque che i muoni negativi provenienti dai raggi cosmici fossero assorbiti dai nuclei atomici prima di potersi disintegrare producendo un elettrone (e due neutrini).  Questo indipendentemente dal materiale in cui venivano assorbiti (fosse ferro o carbonio). Ma i risultati ottenuti da Conversi, Pancini e Piccioni furono a dir poco sorprendenti: i muoni negativi, proprio come quelli negativi, non erano catturati dai nuclei, ma decadevano! Questo poteva significare una cosa sola; i muoni non erano le particelle previste da Yukawa, ma un altro tipo di particella, del tutto inattesa: un nuovo “personaggio" nella famiglia delle particelle leggere come gli elettroni, i leptoni. I fisici teorici furono stupiti e meravigliati da questa scoperta.
“E questo chi l’ha ordinato?” domandò Isaac Rabi, perché il muone non rispondeva ad alcuna esigenza dal punto di vista teorico. Niels Bohr confessò anni dopo a Piccioni che il risultato del loro esperimento gli aveva dato un dispiacere immenso e per questa ragione l’aveva soprannominato “Pinocchio”. Fu Enrico Fermi il primo a concludere che il mesotrone non potesse essere la particella scambiata nell’interazione nucleare. Bruno Pontecorvo comprese poi la “familiarità” tra elettroni e muoni. E voilà la famiglia dei leptoni acquistava una nuova particella, grazie all’ingegno e alla caparbietà di Oreste Piccioni. A quel punto Oreste affermò che aveva “ripagato il debito” a Fermi per la lode ottenuta alla laurea.  

Nel 1947 Oreste si trasferì dapprima al MIT di Boston a lavorare con Bruno Rossi e successivamente ai laboratori di Brookhaven dove si stava costruendo un nuovo acceleratore, il Cosmotron. Qui Piccioni ideò un metodo, basato su campi magnetici, per estrarre dall’acceleratore il fascio primario dei protoni accelerati e utilizzarlo per gli esperimenti. Il magnete utilizzato, da lui denominato M1, sarebbe diventato per tutti il “magnete Piccioni” e la tecnica fu impiegata nei più importanti laboratori di tutto il mondo.
Intorno al 1955 i fisici stavano cercando di rivelare l’antiprotone, l’antiparticella del protone. Lo scenario ideale era il Bevatron, l’acceleratore di Berkley, perché aveva l’energia necessaria alla creazione di questa particella di antimateria. Ancora una volta la difficoltà stava nella rivelarzione della particella e ancora una volta Oreste ebbe un’idea brillante ed ebbe chiara la strategia da adottare. Ne parlò diffusamente a Emilio Segrè e Owen Chamberlain durante una conferenza tenutasi proprio a Berkley, illustrando e disegnando la sua idea e indicando anche dove avrebbero dovuto forare la parete del laboratorio per far passare il fascio di particelle. Avrebbe dovuto unirsi al gruppo di Berkeley, ma non ottenne l’autorizzazione della sicurezza militare, probabilmente perché in Italia era stato iscritto al Partito Comunista. La storia di questa scoperta ha un finale amaro per Oreste, un finale che lo perseguiterà a lungo, poiché  Segrè e Chamberlain seguirono per filo e per segno il suo progetto, scoprirono l’antiprotone, ma nell’articolo pubblicato in seguito alla scoperta gli dedicarono soltanto un asciutto ringraziamento per “i suggerimenti molto utili” e nel 1959 ricevettero il premio Nobel per la scoperta. Mortificato e umiliato, Oreste si lamentò inutilmente con il direttore di Berkley. Gli venne chiesto di tacere. Qualche anno più tardi intentò anche una causa legale, che fu annullata per prescrizione.

Però, non si arrese. Ideò allora un nuovo, complesso ed elegante esperimento al Bevalac di Berkley per rivelare l’antineutrone. Utilizzò un fascio di antiprotoni, eliminando i pioni negativi che lo contaminavano e costruendo un particolare spettrometro per la rivelazione delle particelle prodotte. Rivelò per la prima volta l’antineutrone, e misurò anche la probabilità che si verificasse una reazione di scambio della carica in cui un protone e un antiprotone danno un neutrone e un antineutrone.

 

Piccioni e altri scienziati © The Regents of the University of California, Lawrence Berkeley National Laboratory

Figura 3. Il gruppo che scoprì l’antineutrone a Berkley, Oreste Piccioni è il primo da destra, gli altri sono Lambertson, Cork e Wenzell, con cui collaborò per questo esperimento.

Piccioni diede un altro contributo fondamentale quando fornì la prova sperimentale della teoria di  Gell-Mann e Pais secondo la quale le particelle che riveliamo, cosiddette “reali”, possono essere combinazioni di stati fondamentali diversi e si possono quindi avere particelle reali con vite medie e proprietà intrinseche diverse. Oreste, ancora una volta, si mise al lavoro, superò tutti i problemi tecnici e dimostrò che da un fascio di mesoni neutri K a lunga vita media si generavano dei mesoni diversi, con vita media più breve. Oggi queste particelle le chiamiamo “K0 long” e “K0 short”. Un risultato di importanza cruciale per la verifica della meccanica quantistica. Oreste discuteva i suoi risultati con i fisici teorici, e il suo parere, sempre acuto e attento, era tenuto in grande considerazione da tutti. 

A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, Oreste si occupò con crescente interesse dello studio del paradosso EPR (Einstein, Podolsky, Rosen), un altro grande problema aperto della meccanica quantistica da cui discende il fenomeno chiamato entanglement, ovvero la correlazione che dovrebbe esistere tra particelle appartenenti a uno stesso stato quantistico anche quando sono a grandi distanze tra loro, fenomeno per il quale nel 2022 è stato attribuito il premio Nobel. Oreste si appassionò molto a questa ricerca. Sfortunatamente la sua salute precaria negli ultimi anni di vita gli impedì di portare a termine i lavoro, perlomeno come era abituato a fare lui: risolvendo un “enigma” teorico sul suo campo preferito, in laboratorio. 

Oreste morì il 13 aprile 2002, a 87 anni, a Rancho Santa Fè, vicino a San Diego alla cui Università era approdato negli ultimi anni.

Aveva misurato la vita media del muone con una precisione elevatissima, ingegnandosi a costruire circuiti di elettronica con materiale recuperato al mercato nero durante una guerra e lavorando nello scantinato di un liceo. Aveva confutato idee date per assodate, come assumere che il mesotrone μ fosse la particella di Yukawa. Aveva invece fornito un’inequivocabile evidenza sperimentale di teorie che sembravano troppo macchinose da provare, come l’esistenza di particelle date dalla sovrapposizione di stati differenti. Nulla lo fermava quando si imbatteva in un nuovo problema da affrontare per ampliare la conoscenza e amava muoversi verso le frontiere della fisica: si lasciava guidare dal suo intuito brillante, dalle sue profonde conoscenze scientifiche e dalla passione per la fisica e trovava una risposta, elegante e chiara. Sempre.


Fonti delle immagini

Fig.1 © MuseodiFisica Sapienza Università di Roma

Fig.2 © MuseodiFisica Sapienza Università di Roma

Fig.3 © The Regents of the University of California, Lawrence Berkeley National Laboratory, https://photos.lbl.gov/bp/#/search/9071927?q=piccioni&filters=%257B%257D 

Copertina: © Università California San Diego, https://library.ucsd.edu/dc/object/bb7202445s