Con quale meccanismo le piante distinguono i “cibi” opportuni e quelli non “opportuni”? Le piante non si muovono (non esiste alcuna pianta che si possa muovere spontaneamente , non voglio dire dirigersi verso la luce o altro ma proprio muoversi, non trasportata dal vento o da correnti, ma veramente animata da moto proprio eseguito con impegno di energia bio-chimica? neppure in mare o in ambiente acquatico?), le piante non hanno volontà, cioè non eseguono scelte, dunque la selezione di cosa assorbire come avviene? Cosa “filtra” le sostanze buone dalle cattive un filtro molecolare, un rigetto condizionato (esiste nelle piante?)? Lo stesso filtro o meccanismo per tutte le piante? E come filtrano sostanze buone e cattive per il loro sviluppo? Insomma, cosa fa delle piante esseri “attivi”? Non un cervello non la volontà e allora cosa? (Luigi Landi) (2247_3228_5634)
Già nel 1880, nel libro "Il potere del movimento nelle piante", Charles Darwin (del quale si festeggerà, nel 2009 il Darwin Day , a 200 anni dalla sua nascita e 150 dalla pubblicazione del libro "L'evoluzione della specie" ) - impressionato dalla capacità delle radici di percepire molti stimoli diversi, come ad esempio il tatto, l'umidità, la luce, la gravità, e di prendere decisioni in merito - aveva proposto che l'apice radicale potesse rappresentare un cervello diffuso delle piante ed agire come il cervello degli animali inferiori. Come egli stesso ammetteva "ovviamente le piante non possiedono nervi o un sistema nervoso centrale", tuttavia ebbe questa incredibile idea che "le radici possiedono un cervello".
The Movement and Habit of Climbing plants venne pubblicato da Charles Darwin nel 1880
In questa visione, le radici hanno una funzione in più rispetto a quella a cui si fa riferimento tradizionalmente, cioè quella di rappresentare degli organi di assorbimento di nutrienti minerali dal suolo, fondamentali per la nutrizione delle piante. Dunque si può parlare di cervello delle piante o di intelligenza delle piante? Tutto dipende dalla definizione che ne diamo. Un altro grande scienziato, il premio Nobel Barbara Mc Clintock , per esempio, percepiva le piante allo stesso modo di Darwin e con altre parole nel 1983 scriveva "le piante usano la conoscenza in una maniera intelligente quando sono stimolate": dunque per la McClintock “intelligenza” delle piante è la capacità di elaborare informazione.
Forse il modo più corretto di esprimersi, rispetto alle conoscenze che oggi abbiamo di questo argomento, è quello di parlare di “plant behaviour”, cioè di comportamento, capacità di rispondere a dei segnali ambientali. Oggi sappiamo che le piante sono capaci di discriminare non solo i segnali ma anche la durata di essi, la loro intensità, lunghezza, direzione, di integrare queste informazioni, di elaborarle e di rispondere in modo adattativo. Cioè di prendere delle decisioni informate. Secondo alcuni autori, gli apici radicali sono il vero centro di comando della pianta e le auxine , ormoni vegetali, sono considerate degli specifici neurotrasmettitori vegetali, capaci di integrare e elaborare i segnali e di regolare tutti i processi di sviluppo nelle piante. Altri scienziati hanno lavorato sui geni presenti nel sistema nervoso centrale degli animali e che si ritrovano anche nelle piante, nei funghi e nei protozoi ; sul senso del tatto, che alcune piante carnivore usano per catturare le loro prede; sulla difesa delle piante dagli attacchi di insetti predatori attraverso la produzione di sostanze volatili che segnalano la presenza dei parassiti alle piante vicine. Nella nostra visione antropocentrica noi assumiamo sempre che l'intelligenza sia unicamente appannaggio nostro: in realtà anche i più piccoli tra gli esseri viventi come i batteri, che sono invisibili all'occhio umano, sono "intelligenti", capaci cioè di elaborare l'informazione che arriva loro dall'ambiente esterno e, come le piante, di rispondere in modo da "risolvere i problemi".
Manuela Giovannetti – Microbiologa