Chiacchiere di Fisica

La cenerentola delle forze
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
La forza di gravità è stata storicamente la prima forza fondamentale ad essere osservata e studiata. Quando ancora non esistevano lampadine o computer capaci di mostrare esplicitamente l’esistenza delle forze elettriche, chiedersi cosa facesse sì che quando sfuggiva di mano qualcosa esso venisse sempre inesorabilmente attratto verso il basso, era una delle domande più fondamentali che ci si potesse porre. Newton mostrò che mele, Terra e pianeti, erano tutti vittime di ciò che chiamiamo forza di gravità.
Adesso sappiamo che esistono anche altre forze fondamentali, o interazioni, come le chiamano i fisici, oltre alla gravità. Esistono le interazioni elettromagnetiche, responsabili di tutti i fenomeni elettrici e magnetici e dell’esistenza e delle proprietà di ciò che genericamente chiamiamo luce. E poi esistono le interazioni nucleari forti e deboli, responsabili dell’esistenza e delle proprietà dei nuclei atomici e di fenomeni del mondo subnucleare, generalmente poco conosciuti al grande pubblico, ma che sono comunque di importanza fondamentale per garantire la nostra esistenza, tipo, ad esempio regolare i processi che avvengono all’interno del nostro Sole.
Ma esiste una gerarchia di intensità delle interazioni fondamentali? D’accordo, sono tutte importanti, e non potremmo fare a meno di nessuna di esse, ma qual è la più forte? E la più debole?
Ad esempio, sappiamo che l’atomo è tenuto assieme dalla reciproca attrazione elettrica tra nucleo e elettrone, che hanno carica elettrica opposta. Ma potremmo anche immaginare l’atomo - ad esempio l’atomo di idrogeno, che è il più semplice - come un minisistema solare: il protone al centro, e l’elettrone che in qualche modo gli gira attorno. E quindi potremmo chiederci: perché studiamo che l’atomo è tenuto assieme dalla forza elettrica fra elettrone e protone, e nessuno menziona mai la forza di gravità fra i due? Non potrebbe essere che l’atomo sia tenuto assieme dalla forza di gravità fra queste due particelle, invece che dalla forza elettrica? In fin dei conti è attrattiva anche lei!
La caratteristica della scienza, rispetto ad altre sedicenti forme di conoscenza, è che essa è abituata anche a quantificare le sue affermazioni. La scienza, quindi, calcola quanto vale l’attrazione gravitazionale fra protone e elettrone rispetto all’attrazione elettromagnetica. Il risultato è che la forza gravitazionale fra elettrone e protone è 1039 volte più debole della rispettiva forza elettrica. 1000000000000000000000000000000000000000 volte più debole. In pratica, dentro un atomo, la forza di gravità, rispetto alla forza elettrica, è del tutto irrilevante. Ma allora, perché quando parliamo della dinamica dell’universo, di come si muovono i pianeti, le stelle, le galassie, parliamo di forza di gravità e non di forze elettriche?
Il motivo è che, pur essendo le forze elettriche immensamente più forti della forza di gravità, la materia è globalmente elettricamente scarica! La carica elettrica totale di un atomo è zero! La carica elettrica del protone è infatti uguale e opposta alla carica elettrica dell’elettrone. Questo rende atomi, tavoli, bicchieri, pianeti, stelle, galassie, esseri umani, tutti elettricamente scarichi. E quindi, sebbene la gravità sia la Cenerentola delle interazioni fondamentali quanto a intensità, su grandi distanze è l’unica ad avere effetto. Quando i fuoriclasse si ritirano, perfino un brocco può salire sul podio.
E notate che se così non fosse, se elettrone e protone avessero anche solo un piccolissimo sbilancio di carica, essendo la forza elettrica così intensa, sarebbe impossibile aggregare gli atomi in modo da formare la materia. Ogni molecola avrebbe infatti una carica elettrica netta dello stesso segno, e si avrebbero forze repulsive così intense da rendere impossibile assemblare la materia a formare il mondo. E non ci sarebbe nessuno a leggere questo articolo. Ah, giusto, non ci sarebbe neanche l’autore!

La forza di gravità sulla Luna
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
Tra i deliri del nuovo millennio c’è anche la credenza che non saremmo mai andati sulla Luna, e che le 6 missioni lunari, più quella fallita dell’Apollo 13 e le altre preparatorie, siano state tutte una messa in scena filmata in qualche hangar. Non intendo assolutamente mettermi a confutare gli argomenti dei No-Moon, ma essendo un fisico vorrei far notare un aspetto che in genere passa inosservato anche dagli stessi sostenitori del complotto: il campo gravitazionale sulla Luna, così come appare dai filmati degli astronauti.
Sulla superficie lunare il campo gravitazionale vale circa 1.6 m/s2, grosso modo il 17% che sulla superficie terrestre, dove è invece i famosi 9.8 dei problemi di fisica a scuola. Il valore è determinato dalla massa della Luna e dal suo raggio, entrambi diversi che per la Terra. Il risultato è che se sulla Terra peso 70 kg, sulla Luna ne peso 11. Ecco perché gli astronauti nei filmati saltellano sempre come Vispe Terese.
Tutto questo non è così facile da simulare in un filmato, e non potrebbe essere rappresentato correttamente semplicemente mandando i filmati al rallentatore. Infatti il minore peso sulla Luna si manifesta nella caduta rallentata degli oggetti (un astronauta che salta dall’ultimo gradino del LEM fino al suolo lunare appare cadere verso il basso al rallentatore), ma al contrario si manifesta anche facendo muovere più veloci del normale gli astronauti quando saltano spingendosi verso l’alto.
In pratica, il fatto che g sulla Luna sia inferiore fa cadere più lentamente gli oggetti, ma si oppone anche meno al fatto che un oggetto possa salire, se lo lanciamo in alto. E questo non è così semplice da simulare senza un software adatto. E quella volta il software adatto proprio non c’era.
Ma non basta: non essendoci atmosfera, tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione di gravità, e se lasciati cadere dalla stessa altezza toccano il suolo lunare simultaneamente. Anche se i due corpi sono una piuma e un martello, esperimento realizzato dall’astronauta David Scott di apollo 15 di fronte alla telecamera.
Ma c’è ancora un altro aspetto che rende veramente molto difficile simulare le passeggiate lunari in uno studio televisivo terrestre: la polvere. Sulla Terra, se solleviamo polvere, quella resta svolazzante in aria. Sulla luna, dove non c’è atmosfera e dove l’accelerazione di gravità è un sesto rispetto alla Terra, la polvere (che sulla Luna abbonda!) si deposita subito seguendo le leggi della caduta dei gravi che si studiano a scuola, senza restare vagante in giro, come invece farebbe in uno studio televisivo, dove l’aria c’è. Invece nei filmati degli allunaggi i granelli di polvere sollevati dalle ruote della jeep fanno il loro bel moto parabolico previsto per qualunque corpo che cade nel vuoto, e con un po’ più di calma che sulla Terra, dovuto a quel 17% di g rispetto a noi, si depositano e lì rimangono. Puoi sgommare come un pazzo con la jeep in mezzo a crateri polverosi, ma dopo un paio di secondi non c’è neanche un granellino di sabbia a vagare in giro.
I sostenitori del complotto ignorano alla grande questo punto. Il mio sospetto (dovuto certamente alla mia perfidia) è che non se ne sono nemmeno accorti, perché non sanno la fisica di base!
Maestro, cosa combina
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
Nel 2017 fu venduto all’asta il “Salvator Mundi”, un quadro attribuito a Leonardo Da Vinci, aggiudicato dal compratore per la modica cifra di 450 milioni di dollari, cosa che lo ha reso l'opera d'arte più costosa della storia mai acquistata da un privato.
A parte la forte somiglianza con la Gioconda (se gli coprite il mento e la barba è uguale: che fosse il fratello?), la mia mente malata di fisico ha subito notato una cosa di quelle che da Leonardo proprio non me l'aspettavo: la sfera di vetro che il Cristo tiene in mano ha qualcosa di strano, perché mostra in trasparenza la mano e le pieghe del vestito.
I neutrini più veloci della luce e Babbo Natale
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
Alcuni anni fa l’esperimento OPERA, sotto i Laboratori del Gran Sasso, uscì con una notizia sensazionale: una misura sulla velocità dei neutrini, particelle subatomiche ben note ai fisici, sembrava indicare che essi viaggiassero più veloci della luce. La misura della loro velocità, pur tenendo conto delle possibili incertezze sperimentali del caso, appariva fortemente incompatibile con il fatto che essi viaggiavano alla velocità della luce, o più lenti. Fortemente incompatibile, secondo il linguaggio della teoria degli errori: addirittura 6 deviazioni standard di differenza rispetto all’ipotesi di neutrini rispettosi della teoria della relatività.
Una notizia bomba! I fisici poi adorano quelle scoperte che ti obbligano a riscrivere i libri di fisica. Nonostante ciò, però, quasi nessuno ci credeva realmente. Nonostante la misura fosse così incompatibile con quanto previsto dalla teoria, praticamente tutti erano convinti che doveva esserci un errore di misura da qualche parte. E infatti, a breve si scoprì che dietro c’era un banale quanto subdolo effetto a cui nessuno aveva pensato: un cavetto mal collegato, tra la miriade di cavetti dell’esperimento, che casualmente ci faceva apparire i neutrini più veloci del previsto.
Praticamente nello stesso periodo, al Cern di Ginevra gli esperimenti ATLAS e CMS osservavano nei loro dati un accenno di ciò che si sarebbe poi rivelata la particella di Higgs, ricercata dai fisici da decenni. Il presunto segnale della sua esistenza era solo a 3 deviazioni standard di differenza rispetto al fondo, e occorrevano altri dati per esserne sicuri. Eppure, tutti i fisici erano già convinti che quella sarebbe stata la volta buona: stavano osservando per la prima volta il Bosone di Higgs.
Ma perché con 6 sigma nessuno credeva ai neutrini superluminali, mentre con sole 3 sigma tutti erano già pronti con lo Champagne? Il motivo è che mentre l’esistenza del Bosone di Higgs si inquadrava in una teoria che era già stata verificata in mille modi diversi in tutti i suoi aspetti, dei quali l’Higgs era l’ultimo anello previsto ma ancora mancante, al contrario un secolo di esperimenti di fisica delle particelle aveva mostrato che era “estremamente improbabile”, per usare un eufemismo, che i neutrini potessero viaggiare più veloci della luce. In altri termini mentre la probabilità a priori (cioè indipendente dall’esperimento in questione) dell’esistenza del Bosone di Higgs era molto alta, al contrario nessun fisico avrebbe scommesso un centesimo che i neutrini potessero realmente andare più veloci della luce.
Facciamo un esempio veramente estremo, per capire meglio questo punto. Immaginiamo di essere alla notte di Natale. Abbiamo invitato tutti i parenti, abbiamo cenato assieme, e poi abbiamo scartato i regali, e tutto il campionario di cose che si fanno in queste occasioni. Ovviamente abbiamo anche acceso il camino, che a Natale ci vuole! Poi, a fine serata, tutti gli ospiti se ne vanno, e noi, che siamo dei precisini esagerati, puliamo e riordiniamo tutto, perché non sopportiamo di andare a dormire con la casa in disordine. E ovviamente puliamo per bene anche la fuliggine davanti al camino. Terminato il lavoro, diamo un’occhiata tutto attorno: la casa è perfetta e pulitissima e possiamo finalmente andare a dormire.
La mattina dopo ci svegliamo, e – orrore! - ci sono delle impronte di scarpe e fuliggine proprio davanti al camino! Eppure eravamo certi di aver controllato che tutto fosse pulito prima di andare a dormire. Avremmo potuto giurare che quelle impronte non c’erano! Beh... sebbene non sappiamo spiegare sul momento l’origine di quelle impronte, la loro presenza non rende in alcun modo più probabile che durante la notte sia arrivato Babbo Natale!
Perché? Perché sebbene non siamo capaci di spiegare quelle impronte con ciò che conosciamo, e nonostante esse ci appaiano improbabili in base a tutti i controlli che abbiamo fatto prima di andare a dormire (a molte sigma di discrepanza!), la probabilità a priori dell’esistenza di Babbo Natale è così piccola, per usare un eufemismo, da rendere comunque più probabile l’ipotesi di un errore di valutazione da parte nostra.
Ecco, i neutrini superluminali erano un po’ come l’esistenza di Babbo Natale. Però, se fosse stato vero, sarebbe stato fantastico!
Vedere gli atomi col microscopio della Befana
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
Da bambino, la Befana della SIP (la futura Telecom) mi regalò un microscopio. Era in realtà una specie di proiettore, in cui infilavi il vetrino come se fosse una diapositiva e lui te lo proiettava ingrandito sul muro bianco. Si chiamava "Elettromicroscopio Max", un nome che già da solo incuteva rispetto. E poi specificava: "20000 ingrandimenti". Una macchina fantascientifica, quindi, per un bambino di 8 o 9 anni. Sulle istruzioni c'era la spiegazione su come vedere le cellule. Diceva di prendere una cipolla, togliere quella pellicina trasparente che sta fra un guscio e l'altro, adagiarla fra due vetrini, e le cellule sarebbero apparse miracolosamente sul muro della cucina.
Ed era vero! Si vedevano infatti tanti mattoncini allungati, uno attaccato all'altro, a costituire la pellicina della cipolla. E dentro ciascuno di quei mattoncini si vedeva anche un puntino più scuro: il nucleo. Tutto proprio come nei disegni dei libri! Per me fu un successo, una scoperta da premio Nobel! Abbiate pazienza, ero figlio unico, e senza WhatsApp e i videogiochi (il tennis con le due sbarrette avrebbe iniziato a traviare la gioventù dopo qualche anno) in gennaio dovevo riempirmi i pomeriggi in qualche modo.
E quindi, gasato dalla mia conquista scientifica, mi dissi che se avessi messo il proiettore molto più distante avrei potuto vedere oggetti molto più piccoli! Furbo no? La mia ambizione, lo confesso, erano gli atomi. Vedere gli atomi con il microscopio della Befana!
Avevo una casa con un lungo corridoio che sfociava nella sala, per cui misi il proiettore a un estremo del corridoio, tolsi tutti gli ostacoli di mezzo, imposi il buio totale nella casa, e con mia madre che mi guardava preoccupata accesi l’elettromicroscopio Max. A 10-12 metri di distanza comparve solo una specie di ectoplasma indefinito. Nessuna traccia delle mie amate cellule appena scoperte e men che meno degli atomi. La conoscenza scientifica, d'altra parte, si sa che procede anche attraverso grandi fallimenti! Quello che non sapevo, nella mia idea di poter vedere gli atomi, erano tre cose in ordine di importanza crescente.
Primo: il mio elettromicroscopio non era proprio il top della tecnologia nel campo, diciamo. D'altra parte il budget della Befana, si sa, è stato sempre un po' limitato, dopo che il marito lo spende tutto per i bimbi buoni. L'ottica non era esattamente una Zeiss, e a 10 metri di distanza, con la quantità di luce che sullo schermo diminuisce con l'inverso della distanza al quadrato, quello che veniva fuori era un esperimento di pareidolia, come quando uno proietta un'immagine informe e se è particolarmente invasato ci vede il nonno che lo saluta dall'aldilà.
Secondo: gli atomi sono MOLTO più piccoli delle cellule. Se una cellula è grande - diciamo - 10 micron, un atomo è 100000 volte più piccolo. Dieci miliardesimi di centimetro. Quindi per vedere un atomo con dimensioni pari a quelle con cui vedevo la cellula della cipolla sarei dovuto andare con lo schermo non a 10 metri di distanza, ma a cento chilometri. Altro che in fondo al corridoio!
Terzo: last but not least, anche se avessi avuto il miglior microscopio del mondo, con le lenti più perfette e una luminosità strepitosa per illuminare lo schermo a cento chilometri di distanza, anche se la Befana si fosse svenata, io gli atomi non li avrei potuti vedere comunque, perché con un microscopio che usa la luce visibile gli atomi non si possono vedere. E se il primo punto mi era apparso chiaro quando avevo visto quella macchia sbiadita sul muro della sala, e circa il secondo avevo più o meno intuito che dieci metri di corridoio, invece che un metro, potevano essere pochini per vedere gli atomi, il terzo proprio non lo sapevo.
E non è un problema tecnologico. È proprio un problema di leggi della natura: con un microscopio gli atomi non si potranno mai vedere, nemmeno con gli ingrandimenti a manetta. Il motivo è che in un microscopio ottico per vedere quello che c'è sul vetrino si usa la luce. La luce, che venga da una lampadina o dal sole, deve illuminare l'oggetto sul vetrino, e attraverso le lenti portare all'occhio le informazioni sulla forma, la struttura, il colore, i dettagli di quello che c'è sul vetrino. E per fare questo la luce deve interagire con quei dettagli. Deve lasciare il vetrino e dirigersi al nostro occhio "modificata" dall'interazione con quei dettagli.
Solo che c'è un problema. La luce visibile, essendo un'onda elettromagnetica, come tutte le onde ha la proprietà di avere quella che si chiama "lunghezza d'onda", la distanza fra due creste dell'onda. Per la luce visibile, questa va da 400 ai 700 miliardesimi di metro.
Perché questo è importante? Perché quando un'onda incide su un oggetto che è più piccolo della sua lunghezza d'onda, non riesce più a "vedere" quell'oggetto. Se illuminate un oggetto molto più grande della lunghezza d'onda della luce che utilizzate, non ci sono problemi: lo vedrete bello nitido in tutto il suo splendore. Ma se piano piano rendete l'oggetto sempre più piccolo, quando questo diventa di dimensioni confrontabili con la lunghezza d'onda della luce che state usando, i contorni dell'oggetto diventano sempre più sbavati e indefiniti.
Avviene un fenomeno che si chiama diffrazione, che si traduce nel fatto che quell'oggetto, prima bello nitido, adesso lo si vede a malapena come una macchia confusa. E se l'oggetto diventa più piccolo della lunghezza d'onda della luce che lo illumina... scompare. La luce non lo vede più. Non è più in grado di interagirci, e di riportarci quelle informazioni che vorremmo sulla sua forma e colore.
Quindi quando illuminiamo un oggetto su un vetrino, i dettagli più piccoli che possiamo sperare di vedere, anche con il miglior microscopio ottico del mondo, sono quelli più grandi della lunghezza d'onda della luce che utilizziamo. Se c'è qualcosa di più piccolo, qualche dettaglio, qualche struttura di dimensioni inferiori, questa resta invisibile.
E l'atomo? L'atomo è grande qualcosa come 0,1 nanometri, cioè migliaia di volte più piccolo della lunghezza d'onda della luce. Non c'è speranza! Nemmeno con l'elettromicroscopio Max della Befana della SIP. E allora come si fa? Come facciamo a sapere come è fatta la struttura della materia? Bisogna avere la luce giusta! Ma di questo magari ne parliamo un'altra volta. Stay tuned!
Perché se metto acqua fredda nel tè caldo, il tè si raffredda?
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
Chiedetelo in modo provocatorio al vostro vicino di bancone la prossima volta che siete al bar, per intavolare una stimolante discussione di fisica! È una cosa talmente normale che non ci si pensa, però perché non può succedere il contrario, cioè che l'acqua fredda si raffreddi ancora di più, cedendo calore al resto del tè, e facendolo magari bollire? Che cosa lo impedisce?
Occhio che non sarebbe mica una curiosità da disturbati di mente! Infatti, metti caso che fosse possibile, avremmo risolto tutti i problemi energetici della terra. Sarebbe un modo fantastico per produrre energia pulita in modo inesauribile: ho dell'acqua tiepida, e basta del ghiaccio per scaldarla fino a farla bollire, e lo stesso ghiaccio poi lo potrei usare di nuovo e di nuovo, portando a ebollizione tutta l'acqua che mi pare. E poi potrei mettere il filmato su Facebook, scrivendo "Diffondete prima che lo censurino", seguito da molti punti esclamativi e qualche 1.
Sembra una domanda idiota ma la risposta implica qualcosa di molto interessante.
Cosa vuol dire che il tè è caldo? Vuol dire che le particelle che lo compongono si muovono mediamente ad alta velocità. Più un corpo è caldo, più le sue molecole si muovono veloci. E ovviamente, se un corpo è più freddo, le sue molecole si muovono mediamente con una velocità minore. Ma cosa succede se mettiamo l'acqua fredda nel tè caldo? Succede che le molecole del tè, mediamente più veloci, sbatteranno contro le molecole dell'acqua fredda, che sono mediamente più lente. E quindi, dopo l'urto, le molecole più veloci (quelle del tè caldo) andranno mediamente più lente di prima, e quelle che erano più lente (l'acqua fredda) andranno mediamente più veloci. E alla fine, dopo un po', le molecole del tè e dell'acqua avranno mediamente tutte la stessa velocità, e il nostro tè sarà globalmente tiepido.
La cosa interessante è però che se uno considerasse separatamente i singoli urti fra molecole, non vedrebbe nessuna freccia del tempo in grado di differenziare il prima dal dopo. In un filmato dei singoli urti delle molecole guardato al contrario non troveremmo niente di strano né di proibito da alcuna legge fisica. È soltanto statisticamente, cioè guardando il comportamento medio di tutte le molecole, che ci accorgiamo che esse tendono a uniformarsi in velocità. In altri termini la cosa magica è che nulla vieta all'acqua fredda di congelare se messa nel tè caldo, facendo contemporaneamente riscaldare il resto del tè. È solo mostruosamente improbabile.
Perché la fetta di pane cade sempre dalla parte della marmellata?
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
È un classico: l’hai appena spalmata per bene, ma hai un attimo di indecisione, e la fetta ne approfitta subito: si gira come un gatto, e plana sul tavolo spiaccicandosi dalla parte dove hai spalmato la marmellata. E ti va bene se cade sul piatto e non sul vestito!
Perché succede? È sfiga o c’è un motivo fisico sotto? Ecco quindi una proposta di esperimento, perché la fisica non è solo piani inclinati senza attrito, molle e pendoli, ma è soprattutto il mondo reale. E quindi affrontiamo questo problema reale da scienziati. Sarà un ottimo esempio per capire come la Scienza affronta i problemi.
Innanzitutto, prima di cercare una spiegazione, dobbiamo verificare se il fatto sussiste. Sì, perché potrebbe essere una diceria, o una nostra inconscia selezione dei soli casi in cui succede, perché facciamo meno caso a quelle volte in cui la fetta invece atterra sul lato non spalmato. Quindi facciamo un po’ di prove per vedere se mediamente la fetta, cadendo, effettivamente si gira dalla parte spalmata in un numero di volte statisticamente significativo.
Per un esperimento che vuole essere scientifico dovremo anche decidere, prima di fare l’esperimento, cosa significa statisticamente significativo in base al numero di prove che intendiamo fare. Ovvero: quante prove dovrei fare per ottenere un risultato credibile, al netto delle inevitabili fluttuazioni statistiche, e quindi escludere che la fetta cada con una probabilità di 50 a 50? Così anche l’insegnante di matematica è partecipe della cosa.
Supponiamo comunque di avere già affrontato questo problema, e di avere fatto un tot di prove sufficienti a mostrarci che effettivamente la fetta tende a cadere dalla parte spalmata. A questo punto ci chiediamo: perché?
Molti dicono che è dovuto al fatto che, spalmando la marmellata da una parte, il baricentro della fetta si sposta da quel lato, e questo tende a far atterrare la fetta con la parte spalmata verso il basso. Come un dado truccato, insomma, che per truccarlo si appesantisce un po’ la faccia che deve finire in basso.
Però lo spessore di marmellata (per una maggiore perversione è ancora meglio la Nutella) è veramente minimo. È quindi sufficiente a far ruotare la fetta e a farci invocare i santi del paradiso di prima mattina? Come possiamo verificarlo? Possiamo verificare che dipende dal fatto che una delle due facce ha qualcosa spalmato sopra? Oppure, più correttamente, possiamo cercare di smentire questa obiezione? Così anche Popper è contento?
Provate a pensarci...
Possiamo cercare di smentirlo non spalmando la fetta, ma facendoci semplicemente un segno, per identificare le due facce. Il cosiddetto campione di controllo! Se dovesse succedere (piccolo spoiler: succede!) che anche senza spalmare nulla, ma facendo semplicemente il gesto di spalmare, la fetta cade quasi sempre girandosi ugualmente in modo che la parte che era rivolta verso l’alto va (quasi) sempre a finire verso il basso (il tavolo, il piatto, i pantaloni, il pavimento...), allora vuol dire che il peso del sottile strato di marmellata non c’entra proprio.
E quindi? Quindi cerchiamo di capire quali siano le condizioni che devono verificarsi affinché una fetta di pane, sfuggendoci di mano mentre facciamo il gesto di spalmarla, ruoti e cada dalla parte che in origine era rivolta verso l’alto.
Cosa succede alla fetta quando ci sfugge di mano? Generalmente stiamo spingendo con il coltello da un lato, e la fetta fa perno sulle dita dell’altra mano che la sta sostenendo, ruota un po’ e poi ci sfugge. Quando ruota un po’, un attimo prima che ci sfugga di mano, vuol dire che le stiamo conferendo un momento angolare. E in fisica il momento angolare si conserva: mentre la fetta cade, il momento angolare non cambia. Quindi a questo punto chiediamoci: cosa deve succedere, a una fetta che ha iniziato a ruotare, per cadere dalla parte spalmata? Da che altezza deve cadere, per girarsi dal lato che ci fa invocare santi e beati? E per rigirarsi e cadere dalla parte non spalmata, invece, come e da che altezza dovrebbe cadere? Esiste un intervallo di altezze tale per cui la probabilità per la fetta di cadere dalla parte che ci fa arrabbiare è molto alta?
Insomma, avrete capito che dietro questo semplice esperimento ci sono interi capitoli di fisica fondamentale, e la necessità di fare ipotesi, e verificarle, o cercare di smentirle, sperimentando. C’è quello che genericamente chiamiamo metodo scientifico. E poi ditemi dove trovate un esperimento in cui alla fine potete mangiare l’apparato sperimentale!
Ma come guidano gli alieni?
Chiacchiere di fisica di Stefano Marcellini
A volte capita di vedere filmati di UFO veramente incredibili. Recentemente ne ho visto uno in cui un oggetto non identificato dalla forma tipica delle astronavi aliene (che somigliano tutte al lampadario che aveva mia nonna in cucina), si muove a zig-zag a velocità pazzesca, con improvvise inversioni di rotta, per poi arrestarsi di colpo per un paio di secondi e schizzare via da un fotogramma all’altro a velocità impossibile per qualunque oggetto umano. Il filmato, a vederlo, è molto veritiero e non sembra essere un trucco.
La reazione, anche per chi è scettico sull’ipotesi aliena, è innegabilmente: “ma che diavolo è questa cosa!”. Assumendo che non sia un trucco video, in molti casi non riusciamo proprio a trovare una spiegazione razionale, e il filmato di cui sto parlando non fa eccezione. E quindi potremmo concludere di trovarci di fronte a un video di un’astronave aliena, che sfrutta tecnologie inconcepibili per noi umani.
Oggi io vi voglio offrire un altro punto di vista, generalmente ignorato: valutare quei filmati in base alle leggi della fisica. Alla fisica di base, quella che si studia a scuola.
In fisica, tra le prime cose, si studiano i principi della dinamica. Tipo il primo principio: “un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervengano forze esterne... bla bla...” Avete presente? In quel caso subentra il secondo principio: una variazione della quantità di moto, e quindi della velocità, corrisponde sempre a una forza.
Questi due principi sono è il motivo per cui in macchina ci mettiamo la cintura, e usiamo l’airbag. Infatti va tutto bene finché l’auto procede a velocità costante, ma se poi inchiodiamo di colpo perché un tipo con la 127 si è immesso senza guardare, a quel punto, mentre freniamo l’auto, perseveriamo nel nostro stato di moto rettilineo uniforme, e se non c’è qualcosa a trattenerci ci spatacchiamo sul cruscotto o sul volante. E lo stesso accade se acceleriamo di colpo. Per quello c’è il poggiatesta, a proteggerci dal colpo di frusta. I principi della dinamica ci dicono che quando sterziamo, acceleriamo o freniamo, cioè variamo la nostra velocità rispetto a un moto rettilineo e uniforme, subentrano su di noi delle forze fittizie, che chiamiamo forze inerziali, che ci proiettano sul cruscotto, ci schiacciano sul sedile, ci fanno sbattere la testa sul finestrino di lato, etc.
Perfetto: adesso che abbiamo ripassato la fisica di base, riguardiamo il nostro filmato di ufo: cosa concludiamo? Concludiamo che gli alieni guidano da cani! Anzi, soltanto degli imbecilli epocali possono guidare in quel modo, con sterzate improvvise, inversioni di rotta in una frazione di secondo, che se provi a stimare le accelerazioni percepite da chi sta dentro l’astronave vengono fuori centinaia di g! Tanto per capirci, un pilota esperto sopporta dell’ordine di una decina di 10 per qualche secondo.
Con 20 o 30 g si muore per schiacciamento degli organi interni e fratture delle ossa. Questi invece scorrazzano per i cieli sottoponendosi a botte di 400 g ogni qualche secondo. E fossero almeno robusti, questi alieni! Macché! Gli ufologi li descrivono sempre con un collo filiforme e una capoccia gigantesca, che con una frenata di 400 g altro che colpo di frusta! Il business dei collari ortopedici è sicuramente l’aspetto trainante dell’economia, nel pianeta degli alieni!
Che poi pensate come ti riduce l’interno dell’astronave un cambio di direzione con 400 g di frenata! Tu stai quasi per finire il puzzle da 100 milioni di pezzi (per gli alieni è la versione base) che hai iniziato dalle parti di Epsilon Orionis, e quell’idiota del pilota, per stupire i terrestri, fa una manovra del genere e ti distrugge il lavoro di 1300 anni luce di viaggio. E non parliamo della cucina! “Ragazzi... il passato di verdure è in tavola!” e sempre quell’idiota del pilota ti fa una sterzata che ti ritrovi i pezzi di carota pure dentro il teletrasporto!
Per non parlare poi di quando si mettono a ruotare vorticosamente! Moto circolare uniforme: un corpo che si muove lungo una circonferenza di raggio – mettiamo – 10 metri (tipico dei dischi volanti) che fa – mettiamo – 5 giri al secondo (anche questo tipico dei dischi volanti), è sottoposto a un’accelerazione di circa 1000 g. Avranno delle indennità di missione pazzesche, per farsi dei viaggi intergalattici in queste condizioni, altrimenti non si spiega! Come se uno sul Freccia Rossa prenotasse il posto dentro una lavatrice in centrifuga.
E quindi adesso capiamo perché questi alieni attraversino la galassia per venire da noi, ma poi, una volta qui, non si facciano mai vedere. Gli ufologi dicono che non siamo pronti, che ancora è troppo presto per questo incontro. Niente di tutto ciò: gli alieni non si fanno vedere perché si vergognano! Vorrei vedere voi, dopo trentamila anni luce percorsi ruotando vorticosamente, a scendere la scaletta dell’astronave! Sai che figurone col comitato di accoglienza!