Ho letto alcuni testi divulgativi di meccanica quantistica in cui mi sono imbattuto nell'affermazione: "l'osservatore crea la realtà". In che senso ciò è vero? A me sembra una 'forzatura' interpretativa del ruolo. Patrizio Lampariello
Per capire il senso dell'affermazione immaginiamoci la seguente situazione: pensiamo di aver "prodotto" un elettrone libero in laboratorio e soffermiamoci su quale potrebbe essere la sua posizione. La meccanica quantistica [52] ci dice che questa domanda è mal posta in quanto l'unica cosa che possiamo predire è la probabilità che l'elettrone si trovi in una certa regione di spazio. Ovviamente, il buon senso ci dice che questa probabilità sarà molto alta in prossimità del nostro laboratorio e molto bassa, ad esempio sulla Luna. In termini matematici, queste probabilità sono contenute in una funzione che viene chiamata "funzione d'onda" dell'elettrone.
La funzione d'onda descrive la probabilità di trovare il quanto nella sua forma corpuscolare
Apprestiamoci ora ad effettuare una misura della posizione dell'elettrone, ad esempio con uno strumento sempre situato all'interno del nostro laboratorio. Ovviamente una tal misura deve produrre una sentenza non ambigua, del tipo: l'elettrone è stato misurato nel punto (x,y,z) del laboratorio. Quindi, in definitiva, il processo di misura ha ridotto il regno dei possibili valori della posizione dell'elettrone ad un solo valore concreto (fenomeno che, tecnicamente, si definisce come "collasso della funzione d'onda"). E questo dovrebbe rispondere alla domanda: l'osservatore, che sta compiendo la misura, "materializza" un elettrone nel punto (x,y,z), tra tutti i possibili valori della posizione. In un certo senso, quindi, crea la realtà. E' da rilevare il fatto che ci sono dibattiti ancora aperti sul significato del collasso della funzione d'onda in relazione al processo di misura, avanzata nella cosiddetta interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica , da Bohr in primis.
Davide Meloni - fisico
ultimo aggiornamento febbraio 2014