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Ho studiato un poco di statistica: curva di gauss, binomiale, valore medio...Mi hanno detto recentemente che accanto alla statistica di gauss oggi si usa una statistica di bayes. In cosa differiscono? (Serenella) |
Chiariamo subito che il termine statistica ha diversi significati e questo provoca una certa confusione non solo fra la gente comune, ma anche fra i ricercatori che usano regolarmente ‘la statistica’ nel loro lavoro. Nel significato originario, da cui trae il nome, essa rappresenta “la scienza che si occupa della raccolta e la classificazione di certi fatti concernenti la popolazione di uno Stato” (Webster’s). Detto con le parole di Trilussa, “E’ na cosa / che serve pe’ fa’ un conto in generale / de la gente che nasce, chesta male, / che more, che va in carcere e che sposa.”. In questa accezione essa è più propriamente nota come statistica descrittiva. Ma per ‘statistica’ si intende anche il ramo della matematica applicata che si occupa di inferire i ‘parametri’ di una popolazione a partire da dati statistici parziali (un classico esempio sono i sondaggi pre elettorali e gli exit poll), ovvero i ‘valori veri’ di grandezze fisiche a partire dalle osservazioni sperimenatali, e così via. In questa accezione il termine più appropriato è statistica inferenziale. La statistica inferenziale fa uso della teoria della probabilità e per questo quest’ultima è spesso vista, e anche insegnata, come una parte della ‘statistica’. Quando si parla di ‘statistica gaussiana’ (e lo stesso vale per statistica poissoniana, binomiale, di Fermi-Dirac, etc) ci si riferisce al ‘comportamento statistico’ di una variabile aleatoria, che, per dirla alla buona, si comporta ‘in media’ secondo la distribuzione di probabilità di Gauss. Questa espressione, e le analoghe per le altre ‘statistiche’, che avrà pure le sua brava ragione storica, sembra fatta apposta per confondere le persone, soprattutto quando si incontrano altre espressioni simili ma con diverso significato, come ‘statistica frequentista’, ‘statistica classica’ e ‘statistica bayesiana’. In particolare, quest’ultima non si riferisce ad una inesistente distribuzione di Bayes, come suggerirebbe l’analogia con ‘statistica gaussiana’. Le espressioni statistica frequentista e statistica bayesiana si riferiscono a due modi diversi di intendere la teoria della probabilità e, di consequenza, di affrontare l’inferenza statistica (‘statistica classica’ è più o meno sinonimo di ‘statistica frequentista’ e non ha niente a che vedere con la cosiddetta ‘definizione classica’ di probabilità — tanto per aumentare la confusione!). Nella statistica frequentista si assume che il concetto di probabilità sia strettamente legato a quello di frequenza (relativa). Più precisamente, secondo questo approccio si può parlare di probabilità soltanto con riferimento agli esiti aleatori di esperimenti ripetuti nelle stesse condizioni. La probabilità sarebbe il limite ‘per n che tende ad infinito’ della frequenza relativa con cui un particolare esito si è verificato in n prove. Nell’approccio bayesiano invece, il concetto di probabilità è semplicemente legato al suo significato intuitivo e all’etimologia (latina) dell’aggettivo probabile, ovvero alla plausibilità che eventi dall’esito incerto possano accadere, o che delle proposizioni possano risultare vere. Questo concetto di probabilità è anche detto soggettivo in quanto diverse persone possono avere un diverso stato di informazione e quindi è più che naturale che esprimano diverse valutazioni di probabilità. Come si può facilmente intuire, questo approccio è di più ampia applicazione di quello legato al limite delle frequenze relative. In particolare esso racchiude, come caso particolare e sotto ben precise ipotesi, la valutazione della probabilità effettuata usando le frequenze relative con cui un certo tipo di eventi è accaduto nel passato. Le differenti concezioni di probabilità dei due approcci si riflettono sui metodi di inferenza statistica che da essi derivano. Nell’approccio bayesiano l’inferenza è basata sulle regole di base della probabilità (essenzialmente i famosi assiomi della probabilità) in quanto lo stesso concetto di probabilità può essere applicato sia alle osservazioni (condizionatamente da certe ipotesi) che alle ipotesi (condizionatamente da certe osservazioni). In particolare, la cosiddetta ‘inversione di probabilità’, che permette di valutare la probabilità condizionate delle varie ipotesi a partire dalle probabilità condizionate delle varie osservazioni, è basata sul teorema di Bayes, da cui il nome all’approccio. Nell’approccio frequentista, invece, è proibito parlare di probabilità di ipotesi, di valori veri, di parametri di un modello o di una popolazione, etc. Di consequenza l’inferenza non può essere basata sulle regole di base della probabilità (che comunque servono, per così dire, come ausilio) e bisogna inventarsi dei metodi ad hoc per i diversi problemi che si incontrano. I famosi test di ipotesi di cui si sente spesso parlare appartengono a tali ingegnose invenzioni. L’approccio frequentista, sviluppato nei primi decenni del XX secolo è ancora quello ‘numericamente’ dominante anche se difficilmente difendibile a livello teorico e filosofico. In pratica è quello che si insegna comunemente nelle università, a parte eccezioni oggi ancor rare. Per tale motivo esso è anche chiamato ‘convenzionale’ e quindi l’espressione statistica convenzionale fa riferimento a tale approccio. L’approccio bayesiano, nonostante appaia a molti una novità, si rifà alle idee originarie dei padri fondadori della teoria della probabilità, inclusi Bernoulli, Poisson, Laplace e Gauss. Nella metà del XX secolo era stato praticamente spazzato via dal mondo delle applicazioni dalla scuola frequentista. Ma negli ultimi decenni c’è un deciso revival di questo antico modo di intendere la probabilità e quindi l’inferenza statistica. Tale recupero è stato possibile grazie sia al lavoro teorico chiarificatore di matematici e statistici (fra i quali citiamo l’italiano Bruno de Finetti) che ai grandi progressi nel calcolo sia simbolico che numerico, legati anche all’avvento dei potentissimi computer a basso costo che sono presenti oggi in quasi tutte le case e gli uffici. Infatti, sebbene i metodi dell’approccio bayesiano siano in genere concettualmente semplici, essi richiedono, per problemi al di là di quelli elementari da manuale, calcoli complicati (tipicamente integrali di funzioni non elementari e su spazi a molte dimensioni). Una delle ragioni di successo dei metodi frequentisti era quella offrire a ricercatori frettolosi e con scarse conoscenze di matematica formulette risolutive semplici o soluzioni tabulate. Ma, purtroppo, quando si tratta di risolvere problemi veri e si pretende di usare soluzioni ’semplici’ la deriva al ‘semplicismo’ è abbastanza rapida, con risultati talvolta completamente errati e paradossali. Oggigiorno le applicazioni di metodi bayesiani sono in costante aumento e una ricerca su Google della parola chiave Bayesian ne dà un’idea. Si va dai filtri anti-spamming alle applicazioni in medicina e biologia, dall’ingegneria alla finanza e addirittura alla scienza forense. L’approccio più moderno e promettente all’intelligenza artificiale, dopo il fallimento dei tentativi basati sulla logica del certo (booliana), usa le ‘reti bayesiane’ (‘bayesian networks’ o ‘belief networks’) e molto probabilmente chi sta leggendo ora questo testo ha nel suo computer delle reti bayesiane per aiutare l’utente in caso di difficoltà. Infine, lo stesso Google usa metodi bayesiani nel suo motore di ricerca e addirittura ritiene interessanti, come possibili futuri collaboratori, gli utenti che fanno una ricerca della parola chiave ‘bayesian’, come si evince dal banner pubblicitario “We can’t hire smart people fast enough!”. Per ulteriori informazioni sul teorema di Bayes e sulle sue applicazioni si raccomanda la consultazione delle dispense dell’autore "Probabilità e incertezze di misura" (in particolare il capitolo 5), disponibili in rete all’indirizzo
Giulio D'Agostini - fisico |
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