Buongiorno, parto dal fatto che dalla Terra, percepiamo una stella come un punto luminoso. La mia domanda è questa: le particelle, in questo caso i fotoni, partendo dalla stella e diffondendosi nello spazio non dovrebbero disperdersi, allontanarsi tra loro? Di conseguenza, più aumenta la distanza percorsa dal punto di partenza, più aumenta la distanza tra i singoli fotoni; per questo mi chiedo perché al posto di un punto non si veda qualcosa di simile ad un alone?
(Stefano)
I raggi luminosi, se indisturbati, procedono in linea retta e l’osservatore viene raggiunto solo dai raggi che si trovano sulla linea di vista. La magnitudine apparente di un oggetto luminoso dipende infatti dalla luminosità intrinseca dell’oggetto e dalla sua distanza dall’osservatore. E’ vero che i fotoni si "disperdono" e illuminano lo spazio circostante alla sorgente luminosa in direzioni diverse dalla linea di vista dell’osservatore, il quale non essendo raggiunto da questi raggi non ha alcuna percezione di "alone" luminoso intorno alla sorgente.
Facendo un’analisi un po’ più accurata possiamo capire come la percezione della stella (o più genericamente di un corpo celeste) come puntiforme sia frutto di un’approssimazione.
Consideriamo il caso più semplice, ovvero che l’osservatore si trovi al di fuori dell’atmosfera terrestre. La stella - posta a distanza che possiamo approssimare come infinita - non è affatto una sorgente luminosa puntiforme ma noi la percepiamo come tale perché è un oggetto non risolto.
La risoluzione di uno strumento ottico è la capacità di produrre immagini distinte di due oggetti molto vicini tra loro. Ogni strumento ottico è caratterizzato da un’apertura, in genere circolare, per cui la sua risoluzione è limitata a sua volta dagli effetti della diffrazione, un limite fisico oltre il quale non è possibile scendere in quanto conseguenza diretta del principio di indeterminazione di Heisenberg.
Se pensiamo all’occhio umano come strumento ottico, il potere risolutivo è determinato quindi dalla sua apertura: la pupilla.
I raggi di luce che vengono raccolti da un osservatore (posto fuori dall’atmosfera) sono concentrati in una figura di diffrazione che dipende solo dall’apertura dello strumento con cui osserva, che prende il nome di Disco di Airy (figura sotto), le cui dimensioni sono direttamente proporzionali alla lunghezza d’onda della luce osservata, e inversamente proporzionali all’apertura del suo strumento (o diametro della lente). La larghezza (angolare) del picco centrale contiene la maggior parte della luce e quel picco di luminosità viene percepito a occhio nudo come proveniente da un oggetto puntiforme (non risolto).
Portando ora il nostro osservatore all’interno dell’atmosfera terrestre vediamo che i risultati dell’osservazione di una stella possono essere molto diversi.
L’atmosfera terrestre è caratterizzata in modo variabile da turbolenze che fanno variare l’indice di rifrazione. Poiché la figura di diffrazione della nostra stella ha una dimensione angolare inferiore agli spostamenti del raggio luminoso provocati dalla turbolenza terrestre, vediamo la stella tremolare, o più tecnicamente scintillare. I raggi deviati dall’atmosfera cadono al di fuori del cerchio di Airy osservato un istante prima e quindi si perde la percezione dell’immagine puntiforme, avvertendo la sensazione di un “movimento” dell’oggetto osservato come variazione della sua luminosità (twinkling).
Se osserviamo i pianeti del Sistema Solare (che non emettono luce ma riflettono quella della nostra stella, il Sole) la nostra percezione è ancora diversa. Essendo più vicini, viene meno l’approssimazione dell’infinitamente lontano che vale nel caso delle stelle, hanno una dimensione ottica maggiore e possono essere considerati sorgenti estese. Complessivamente il fenomeno della scintillazione viene integrato sulla superficie dell’oggetto e il fenomeno risulta molto meno evidente. E’ possibile notare la scintillazione di un pianeta in caso di atmosfera particolarmente turbolenta o se osserviamo vicino all’orizzonte. La capacità risolutiva di uno strumento ottico posto in atmosfera non è quindi più limitato solo dal fenomeno della diffrazione ma anche dal cosiddetto seeing atmosferico, un parametro definito dagli effetti provocati dalla turbolenza atmosferica che contribuiscono a degradare la qualità dell'immagine osservata.
Per questo motivo, i siti in cui sono installati i telescopi ottici vengono scelti (anche) in base alla valutazione del seeing. Per ridurre il disturbo introdotto dall’atmosfera e avvicinarci alle condizioni “spaziali” (extra-atmosferiche) oggi vengono utilizzate le tecniche dell’ottica adattiva, affinché il telescopio compensi in tempo reale la scintillazione atmosferica dell’oggetto osservato restituendo un’immagine non degradata dall’atmosfera, cosa impossibile per l’occhio umano.
Rossella Spiga, astronoma
ultimo aggiornamento gennaio 2019