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Nei libri di divulgazione della fisica moderna si parla di rinormalizzazione. È un concetto che non ho mai capito. Di cosa si tratta? Grazie (Fulvio Speras) |
La rinormalizzazione è un modo per dare significato ai risultati di alcuni calcoli teorici che a prima vista sembrerebbero essere inutilizzabili, perché consistono in integrali divergenti, quindi infiniti. Le teorie che descrivono le particelle e le loro interazioni sono, in molti casi, caratterizzate dalla presenza di alcuni piccoli parametri, sicché ha senso calcolare la grandezza fisica che interessa nel caso limite in cui uno di questi parametri è nullo e calcolare successivamente le correzioni a questo risultato come uno sviluppo in potenze crescenti del piccolo parametro (teoria delle perturbazioni). Se il parametro piccolo è proprio quello che caratterizza l’interazione (costante di accoppiamento ), il caso limite è quello delle particelle libere. I termini successivi dello sviluppo perturbativo si calcolano secondo certe precise regole e da un certo ordine in poi si devono effettuare degli integrali. Tali integrali risultano il più delle volte divergenti, a causa del cattivo comportamento alle piccole distanze (o, equivalentemente, alle grandi energie) delle loro funzioni integrande. Per superare questa grossa difficoltà, negli anni intorno alla meta’ del secolo scorso fu osservato da alcuni fisici teorici (Tomonaga , Schwinger , Feynman , Dyson ) che in certe teorie (e in particolare quella che allora sembrava l’unica in eccellente accordo con i dati, l’elettrodinamica quantistica) la struttura di queste divergenze era tale che esse si potevano riassorbire in una ridefinizione dei parametri della teoria (in elettrodinamica, la massa e la carica elettrica dell’elettrone, oltre alla normalizzazione della funzione d’onda – da qui il termine “rinormalizzazione”). In generale, per le teorie affette dal problema delle divergenze, si possono presentare due casi diversi. Se è possibile riassorbire tutti gli infiniti ridefinendo un numero fisso di parametri ad ogni ordine dello sviluppo perturbativo la teoria si dice rinormalizzabile. Se invece il numero delle quantità da ridefinire aumenta al crescere dell’ordine dello sviluppo la teoria non è rinormalizzabile: un esempio di teoria di questo tipo è la teoria dei decadimenti deboli che Fermi propose nel 1934, che fu riconosciuta essere il limite di bassa energia di una teoria rinormalizzabile solo negli anni settanta. In un certo senso solo le teorie rinormalizzabili sono in grado di permettere un calcolo accurato, cioè anche agli ordini più elevati dello sviluppo perturbativo, delle grandezze fisiche. Le teorie che risultano non rinormalizzabili possono solo essere usate come teorie effettive, valide cioè al di sotto di una certa scala di energia, alla quale intervengono fenomeni che la teoria non è in grado di descrivere. Si può anche dire così che le teorie rinormalizzabili sono quelle che non sono sensibili ai dettagli dei fenomeni che possono avvenire alle scale di energie molto grandi (o di distanze molto piccole), l’effetto dei quali si esplica solo nei valori di un numero limitato di parametri, che devono essere assunti dall’esperimento. Per completezza va detto che il termine rinormalizzazione viene oggi usato in un senso più esteso di quello descritto cioè anche in teorie per le quali i risultati dei calcoli perturbativi non sono divergenti ed anche per effetti non-perturbativi. In questo senso si può dire che parlare del valore rinormalizzato (in contrapposizione al valore non rinormalizzato, o “nudo”) di una certa grandezza vuol riferirsi alla modifica determinata sulla grandezza stessa per effetto dell’interazione. Benché si possa ritenere alquanto artificiale il metodo della rinormalizzazione, come sempre in fisica la conferma delle teorie sta nel confronto delle previsioni con l’esperimento. Per l’elettrodinamica quantistica l’accordo tra teoria ed esperimento raggiunge precisioni incredibili: ad esempio nel calcolo del momento magnetico dell’elettrone, che è in accordo con la misura sperimentale che ha una precisione di quattro parti su mille miliardi. A livelli molto meno spinti, ma sempre richiedenti l’uso della rinormalizzazione, va detto che anche le previsioni della attuale teoria delle interazioni deboli, elettromagnetiche e forti (il modello standard) sono in ottimo accordo con i risultati sperimentali nei casi in cui la teoria delle perturbazioni è applicabile. Maurizio Lusignoli - Fisico |
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