Il problema della determinazione delle distanze dei corpi celesti è certamente uno dei più significativi e affascinanti dell'astronomia e dell'astrofisica, essendo alla base della determinazione di leggi e proprietà che li regolano.
Di metodi per il calcolo della distanza ne esistono numerosi tipi, messi a punto nel corso degli ultimi due secoli, e si distinguono sostanzialmente per la "profondità" che riescono a raggiungere. Per le distanze relativamente prossime a noi, quindi nel sistema solare o per le stelle più vicine, si possono utilizzare metodi geometrici quale quello della parallasse: molto brevemente, il metodo sfrutta il diverso "punto di vista" prospettico con il quale due osservatori che si trovano ad una certa distanza tra loro osservano un certo oggetto: l'osservazione si traduce in una diversa misura della posizione di questo oggetto nello spazio rispetto ad un altro riferimento molto più lontano. Sfruttando i due punti di vista più lontani di cui possiamo disporre, ovvero i due estremi dell'orbita della Terra (utilizzando una"base" di circa 300 milioni di chilometri), si riesce a misurare la "parallasse", appunto lo spostamento apparente, delle stelle più vicine rispetto a quelle più lontane: questo angolo è naturalmente piccolissimo, ma misurabile e riesce a fornire valori accettabili della distanza fino a 200 - 300 anni luce .
Per distanze superiori esistono numerosissimi altri sistemi che sfruttano le proprietà fisiche delle stelle e dei sistemi stellari, andando a individuare la cosiddetta "candela standard".
Immaginiamo di avere una lampadina di luminosità nota. A un metro di distanza questa presenterà, al nostro misuratore di quantità di luce, un certo valore. Se portiamo la stessa lampadina a 100 metri, sappiamo che il nostro misuratore (fotometro) ci fornirà un valore 10.000 ( ricorda che il segnale decresce come il quadrato delle distanza) volte inferiore della quantità di luce. In effetti, il principio fisico su cui si basano gli astrofisici è proprio questo: la quantità di luce emessa dallo stesso corpo celeste diminuisce proporzionalmente al quadrato della distanza; sapendo quant'è luminoso un corpo "in senso assoluto"(ovvero conoscendone, appunto, la sua "luminosità assoluta") si può risalire, andando a misurarne la luminosità apparente, alla sua distanza.
Naturalmente, a questo punto, il problema più grosso è proprio essere sicuri che l'oggetto che si sta osservando sia effettivamente una "candela standard". Anni di osservazioni e ricerche hanno portato ad individuare, via via, candele standard sempre più precise, affidabili e luminose, permettendoci di ampliare enormemente gli orizzonti del nostro universo. Un classico esempio è fornito dalle "stelle cefeidi": si tratta di un particolare tipo di stelle variabili (la cui luminosità, cioè, varia periodicamente nel tempo) molto luminose, per le quali è stato possibile determinare una relazione che lega il periodo di variabilità della stella alla sua luminosità intrinseca; grazie alle cefeidi è stato possibile misurare la distanza di molte tra le galassie più vicine alla nostra sino a qualche centinaia di milioni di anni luce. Un'altra categoria di stelle molto utilizzata per distanze anche oltre le centinaia di milioni di anni luce è invece quella che utilizza le "supernovae", stelle che, giunte alla fase finale della loro vita,emettono in pochi giorni una quantità di radiazione elevatissima, rendendosi visibili addirittura meglio della galassia che le ospita. Anche in questo caso è stato possibile ricavare una relazione, calibrata inizialmente su galassie più vicine (per le quali erano utilizzabili le cefeidi), che legasse la distanza alla luminosità massima osservata nella fase di brillamento della supernova.
Per distanze superiori entriamo nel campo della cosmologia: nel 1920 circa, il famoso astronomo Edwin Hubble riesce a dimostrare, dopo aver raccolto anni e anni di osservazioni, che le altre galassie sembrano allontanarsi indistintamente dalla nostra ad una velocità (misurabile con estrema precisione attraverso metodi spettroscopici) proporzionale alla distanza: più la galassia è veloce, più è distante. Calibrando, come fatto prima, la relazione con galassie più vicine, la cui distanza è stata già misurata con un metodo indipendente, è stato così possibile calcolare la distanza di un innumerevole numero di galassie, anche lontanissime, semplicemente misurandone la velocità di allontanamento (o recessione). Con questo metodo si può arrivare anche a distanze dell’ordine dei miliardi di anni luce.
La precisione dei vari metodi , naturalmente, diminuisce all'aumentare della distanza che vogliamo misurare. Il metodo della parallasse può fornire, nel suo campo di applicazione, valori precisi fino a pochi decimi di percento sul valore misurato, mentre con gli altri metodi, che, come si è visto, sono strettamente concatenati, si possono avere errori decisamente superiori. Basti pensare che, per tutta la prima metà del secolo scorso, continue revisioni nella calibrazione della relazione periodo-distanza delle Cefeidi, hanno portato l'intera scala delle distanze nell'universo quasi a raddoppiarsi rispetto alle stime iniziali. Allo stato attuale, tuttavia, le relazioni utilizzate sono state tutte verificate con diversi metodi indipendenti e quindi la precisione raggiungibile è ormai veramente notevole (mediamente qualche percento) se si considera la difficoltà delle misure. Possiamo quindi ritenere di avere oggi, anche su scala cosmologica, una "piantina geografica" dell'universo abbastanza fedele!
Luca Orrù - Astrofilo
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