La relazione che intercorre tra la fenomenologia del mondo fisico e la sua descrizione matematica è sicuramente uno degli argomenti più affascinanti dal punto di vista filosofico: come fa infatti la matematica, che è una pura costruzione mentale dell'uomo, a descrivere il mondo e i suoi fenomeni naturali, che sono invece dei puri dati esterni? Posta in questo modo la questione, è chiaro che il problema può avere una formulazione ad un livello epistemologo ancora più generale: come fa infatti il nostro cervello a comprendere il mondo? La matematica, dopo tutto, non è altro che un sistema molto economico di simboli per stabilire delle correlazioni tra parametri diversi partecipanti ad un fenomeno fisico. Quello che ha in più, però, è la sua straordinaria capacità di sintesi, unita alla sua consistenza interna e al suo eccezionale potere predittivo, conseguenza di proprietà generali espresse in forma di teoremi (per fare un esempio semplice, è inutile andare a controllare in tutti i triangoli che la somma degli angoli esterni è sempre 2 pigreco). Nel corso dei secoli, vari pensatori hanno ceduto alla tentazione di adottare una visione platonistica della natura, primo tra tutti Galileo Galilei, per il quale "il libro della natura è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto". Altri hanno invece adottato una visione più strumentale e anche storicistica della questione, ovvero quella in cui la matematica fornisce semplicemente uno strumento (efficientissimo) per modellizzare dei fenomeni, ma è essa stessa "un fenomeno sociale che fa parte della cultura umana e, in quanto tale, evoluta storicamente e intelligibile solo in un determinato contesto sociale" (Reuben Hersh - L'esperienza matematica).
Vero è che la rivoluzione scientifica è iniziata nel momento in cui si è posto l'accento sul carattere quantitativo dei fenomeni. La scienza è diventata quindi un sapere sperimentale (fondato sull'osservazione), intersoggettivo (ovvero le sue scoperte devono essere valide per tutti) e soprattutto predittivo. La predittività viene anche raggiunta notando la struttura matematica comune di fenomeni apparentemente molto diversi: un circuito elettrico, fatto da una resistenza, da un condensatore e da un'induttanza, si comporta per quanto riguarda l'andamento temporale della corrente elettrica esattamente come il moto di un'altalena avente dell'attrito sui cardini, un fatto altamente sbalorditivo per chi si ferma per un attimo a pensare alla natura così diversa degli oggetti coinvolti nei due fenomeni. Ponendo l'enfasi quindi sul calcolo e sulla misura, è chiaro che il linguaggio privilegiato della scienza non può essere altro che quello della matematica.
Per questo motivo, in molti scienziati prevale in effetti l'attitudine di considerare questa osservazione talmente scontata da non essere più materia di discussione. Se si pensa poi che buona parte degli sviluppi recenti in matematica sono venuti da lavori considerati di fisica teorica, è chiaro che si è sempre più realizzata una simbiosi quasi totale tra i due campi del sapere che diventa oramai quasi impossibile distinguere (un esempio tra tutti: partendo dallo studio delle forze che regolano il mondo delle particelle elementari si riescono ad ottenere informazioni molto importanti e prima sconosciute sui modi diversi di annodare una corda, un problema classico di topologia).
Con questo non voglio minimamente sminuire la portata della domanda iniziale, anzi, essa ha continuato ad essere oggetto di riflessione e di sorpresa per molti studiosi. Consiglio vivamente a tale proposito la lettura di uno degli articoli piu' famosi su questo problema, quello di Eugene Wigner : "The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences", pubblicato in Communications in Pure and Applied Mathematics, vol.13 (1960). Nel sito del Dartmouth College , è possible trovarne il testo in lingua inglese .
Un altro articolo interessante è quello di Giuseppe Longo, che riprende nel titolo la domanda di Wigner, "L'irragionevole efficacia della matematica e l'efficace irragionevolezza del computer". Puo' essere trovato sul sito della SISSA nella collana di Matematica della "biblioteca dei 500" . Per ulteriori approfondimenti, infine vorrei anche segnalare il libro di Umberto Bottazzini ed Edoardo Boncinelli "La Serva Padrona (Fascino e potere della matematica)", Raffaello Cortina Editore, 2000 il cui titolo richiama la doppia natura della matematica in campo scientifico, ovvero quella di una serva utilissima dal punto di vista applicativo (a partire dal calcolo delle orbite planetarie per finire agli spettri atomici), ma che in realtà rivela una tale forza esplicativa di conoscenza del mondo reale che ci circonda, da diventare padrona. Molto utile risulta anche la lettura del libro di Roger Penrose "La nuova mente dell'imperatore (la mente, i computer e le leggi della fisica)" pubblicato nella Biblioteca scientifica della Sansoni.
Giuseppe Mussardo - Professore di Fisica Teorica della SISSA
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