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La filosofia greca aveva già affrontato il problema del vuoto. Aristotele nel IV secolo avanti Cristo, aveva affermato che il vuoto non esiste. Il termine “horror vacui” indica la tendenza della natura a fuggire dal vuoto ad a riempirlo costantemente; ogni gas o liquido tenta costantemente di riempire ogni spazio, evitando di lasciarne porzioni vuote.

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Aristotele

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Evangelista Torricelli

In un celeberrimo esperimento realizzato a Firenze nel 1644 Torricelli riempì di mercurio un tubo di vetro aperto ad una delle estremità. Poi, tenendo serrata con un dito l'estremità aperta, rovesciò il tubo in una bacinella contenente mercurio. Osservò allora che la colonna di mercurio scendeva solo parzialmente, fermandosi ad un'altezza di circa 76 cm. Torricelli si convinse che lo spazio lasciato libero dalla discesa del mercurio nel tubo fosse vuoto e che il sostentamento della colonna di mercurio dipendesse dalla pressione che l'aria esercitava sul mercurio nella bacinella. Torricelli sostenne che il suo esperimento provava due concetti fondamentali: che la natura non aborre il vuoto e che l'aria pesa. I risultati dell'esperimento dell'argento vivo aprivano un'epoca di trasformazioni rivoluzionarie e obbligavano a rivedere dottrine consolidate da secoli. Si pensi al fatto che Galileo non rese mai pubblici i suoi studi sul vuoto perché nella teologia del tempo l’affermazione dell’esistenza del vuoto rappresentava un’eresia contro l’eucaristia e punita col rogo.

La fisica nel XIX secolo postulava che le onde (luminose, sonore, etc.) dovessero avere un mezzo che consentisse la loro propagazione nello spazio. Nel caso della luce si era ipotizzata l'esistenza di un "etere luminifero" come mezzo di propagazione, anche al fine di conciliare le ultime conquiste dell'elettromagnetismo, riassunte nelle equazioni di Maxwell, con la relatività galileiana. Tali equazioni infatti risultavano avere forme diverse a seconda del sistema di riferimento inerziale scelto. Durante il XVIII secolo si riteneva che lo spazio fosse formato da una sostanza invisibile a cui i fisici diedero il nome di etere e che ogni corpo in movimento nell'universo producesse un vento d'etere che si muoveva alla stessa velocità del corpo in movimento ma con direzione opposta. Per esempio, la Terra si muove nell'universo a 30 km/s perciò ci dovrebbe essere un vento a 30 km/s che spazzerebbe la Terra in direzione opposta al proprio cammino.  Nel 1887 Michelson e Morley, provarono a misurare la velocità della luce in diverse direzioni per vedere se si trovava traccia del vento d'etere, usando uno strumento che successivamente prese il nome di interferometro di Michelson. L’esperimento non rivelò traccia di un vento d’etere e condotto alla conclusione che la luce si propaga nel vuoto e che la sua velocità è indipendente dal moto della sorgente e dell'osservatore. Proprio da questa ipotesi partì Einstein per sviluppare la teoria della relatività ristretta.

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Albert A. Michelson e Edward Morley

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Il vuoto nella meccanica quantistica è pensato come un equilibrio dinamico di particelle di materia e di antimateria in continuo annichilimento. Nel vuoto sono presenti fluttuazioni quanto-meccaniche, che lo rendono un ribollire di coppie di particelle virtuali; queste, protette dal principio di indeterminazione di Heisenberg, nascono e si annichiliscono in continuazione. Questo fenomeno quantistico potrebbe essere responsabile del valore osservato della costante cosmologica.

Anche l’arte si è dedicata alla ricerca del vuoto. A Lucio Fontana, fondatore del movimento spazialista degli anni ’50 e ’60, la tela non bastava e  recuperava il dinamismo dello spazio attraverso il vuoto: “Cerco di rappresentare il vuoto”, dichiarò in un’intervista del 1963. “L’umanità, accettando l’idea dell’infinito, ha già accettato l’idea del nulla”.

 

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Lucio Fontana Concetto spaziale, Attesa · 1965

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