Albert Abraham Michelson nasce il 19 dicembre 1852

 Biografia della rubrica “Vita da genio” a cura di Chiara Oppedisano

ritratto di michelson, immagine di pubblico dominio

Albert Abraham Michelson è stato il primo scienziato americano a vincere il premio Nobel, nel 1907, «per i suoi strumenti ottici di precisione e per le indagini spettroscopiche e metrologiche effettuate con il loro aiuto».

Nacque nell’attuale Polonia il 19 dicembre 1852, ma a soli 2 anni la sua famiglia emigrò negli Stati Uniti dapprima a Virginia City in Nevada e poi nella più accogliente San Francisco, dove il giovane Albert frequentò le scuole pubbliche. A 17 anni entrò all’Accademia Navale della Marina americana per interessamento del Presidente degli Stati Uniti Ulysses Grant. A 21 anni si laureò guardiamarina e passò i successivi due anni in missione nell’Oceano Indiano. Successivamente chiese un congedo per poter continuare e approfondire i suoi studi in fisica in Europa, recandosi a Berlino, Heidelberg e Parigi. Nel 1883 fece ritorno negli Stati Uniti dedicandosi all’insegnamento della fisica prima alla scuola di Scienze Applicate di Cleveland, Ohio, poi alla Clark University di Worcester, Massachusetts. Dal 1892 ottenne una posizione alla rinomata Università di Chicago, dove fu il primo direttore del Dipartimento di Fisica e dove rimase fino al 1930 quando, accettando l’invito del direttore George E. Hale, si trasferì all’osservatorio di Mount Wilson.
Michelson si appassionò da subito all’ottica ed è sicuramente noto per le sue misure pionieristiche, ma incredibilmente accurate per quei tempi, della velocità della luce, che indiscutibilmente hanno spalancato le porte alla teoria della relatività generale di Albert Einstein. Tutto ebbe inizio a partire dal 1887, quando Michelson, in collaborazione con Edward Morley, mise a punto uno strumento ottico per misurare la dipendenza della velocità della luce rispetto al moto della Terra che a quei tempi si pensava fosse immersa in un mezzo, l’etere luminifero, nel quale si propagavano le onde elettromagnetiche. Il risultato delle misure, ripetute in vari momenti dell’anno perché il moto della terra rispetto all’etere fosse diverso, fu che la velocità della luce era costante, indipendentemente dalla direzione e dalla velocità del moto terrestre. Mai un risultato negativo di un esperimento fu così illuminante! Anche se pare che inizialmente Michelson e Morley non fossero del tutto consapevoli della portata del risultato, avevano dimostrato che non esisteva alcun etere luminifero e, soprattutto, che la velocità della luce era identica per qualunque osservatore inerziale. Questa scoperta, che stravolgeva le certezze della meccanica classica, portò Lorentz alla formulazione della contrazione delle lunghezze e della dilatazione dei tempi per sistemi in moto a velocità prossime a quella della luce e pose le basi per la teoria della relatività di Albert Einstein.
È davvero interessante l’apparato utilizzato per la misura: lo strumento ottico messo a punto da Michelson era un “interferometro” in cui il fascio di luce proveniente da una sorgente coerente viene suddiviso in due fasci che si propagano per due cammini perpendicolari di uguale lunghezza, vengono riflessi da due specchi e poi ricombinati e rivelati. Se il tempo impiegato a percorrere i 2 cammini è differente, si rivelano figure di interferenza. Questo approccio è analogo a quello su cui si basano gli interferometri di LIGO e VIRGO per la rivelazione delle onde gravitazionali provenienti dal profondo cosmo.

Approfondimento SxT

Approfondimenti su asimmetrie.it

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Sinistra: schema dell’interferometro utilizzato da Michelson e Morley per la misura della velocità della luce. Destra: figura di interferenza che si rivela se il tempo impiegato dai 2 raggi luminosi differisce.

 

In seguito Michelson effettuò la misura del metro standard in termini di lunghezza d’onda dalla luce emessa da cadmio riscaldato, ideò apparati a elevata risoluzione per studi spettroscopici e, sempre attraverso tecniche interferometriche, nel 1920 misurò per la prima volta il diametro di una stella, Betelgeuse, distante circa 600 anni luce dal Sole nella costellazione di Orione.
Ma la sua passione rimase indubitabilmente legata alla misurazione della velocità della luce. A partire dal 1922, fece installare degli specchi per riflettere le onde elettromagnetiche tra le cime di 2 montagne a 35 km di distanza l’una dall’altra, il Monte Wilson (sede del rinomato osservatorio astronomico) e il Monte San Antonio.


fig2Schema dell’apparato disegnato da Michelson per la misura della velocità della luce tra Monte Wilson e Monte San Antonio.


Nell’estate del 1926 pubblicò il risultato della sua misura: la velocità della luce nel vuoto misurata era di 299796±4 km/s. Raggiunse un grado di accuratezza davvero incredibile per quei tempi: basti pensare che la misura attuale, 299 792.458 km/s, differisce dalla misura di Michelson di soli 3.5 km/s, ovvero dello 0.00118%!

Approfondimento all’articolo pubblicato da Michelson nel 1927

La parte più complicata della misura consistette nel determinare con la maggior accuratezza possibile la distanza tra i 2 specchi riflettenti, ovvero tra le 2 montagne. Per la misura della cosiddetta “Pasadena baseline” Michelson si rivolse all’Agenzia federale americana United States Coast and Geodetic Survey (USCGS) che iniziò una campagna di laboriose misurazioni della linea di terra utilizzando tecniche all’avanguardia, costruendo apposite stazioni e impalcature e passando attraverso le abitazioni civili quando si trovavano sul cammino della misura.


Michelson aveva inoltre ottime doti artistiche e amava dipingere; all’osservatorio di Mount Wilson erano appesi alcuni suoi disegni delle montagne sulle quali faceva riflettere le onde elettromagnetiche per misurare la velocità della luce. Einstein disse di lui: «Ho sempre pensato a Michelson come all’artista nella scienza. La sua gioia più grande sembra provenire dalla bellezza dell’esperimento e dall’eleganza dei metodi impiegati».


Michelson morì nel 1931 a Pasadena. A parte i numerosi premi e le cariche che ricoprì durante la vita, ci piace ricordare il cratere della Luna a lui dedicato. La voce che lo riguarda sull’Enciclopedia Britannica è firmata nientemeno che da Isaac Asimov.