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(1685-1753) Filosofo irlandese, (Dysert 1685-Oxford 1753). Insegnò greco, ebraico e teologia al Trinity College di Dublino. Si recò poi a Londra e ottenne alcuni incarichi diplomatici. Propose al Parlamento la fondazione di un collegio, alle Bermude, per l'educazione degli indigeni d'America. Si recò in America, ma il progetto fallì. Tornato in patria, ottenne il vescovato di Cloyne (Irlanda). Nel 1751 si ritirò a Oxford, dove si dedicò con grande fervore allo studio del platonismo antico. Berkeley esordì con Essay towards a New Theory of Vision (1709; Saggio di una nuova teoria della visione), nel quale porta a fondo una critica al concetto newtoniano di spazio: lo spazio, dice Berkeley, non è il luogo (indipendente dai soggetti) in cui stanno gli oggetti, giacché esso è riducibile alla nostra percezione degli oggetti e dei loro rapporti. Lo spazio è riducibile alla percezione dell'esteriorità testimoniata dai sensi e garantita da Dio, non essendoci altra garanzia dell'accordo tra la sensazione e l'oggetto. Per questa via, cessa la possibilità di giustificare l'oggettività delle sensazioni; le quali anzi tendono a risolversi in segni di un linguaggio offerto ai sensi da Dio stesso. Ed è appunto questa la tesi fondamentale di A Treatise on the Principles of Human Knowledge (1710; Trattato sui principi della conoscenza umana). Berkeley muove dall'affermazione che la conoscenza umana non ha altri oggetti che non siano idee, gli oggetti non essendo altro che collezioni di idee. Ma poiché tutte le idee sono reali soltanto nella misura in cui sono percepite, non esisterà alcuna realtà indipendente dallo spirito percipiente (=esse est percipi); reale, dunque, non può essere che lo spirito stesso. Nasce a questo punto il problema dell'origine delle idee, il problema cioè se le idee siano prodotte dallo spirito finito dell'uomo o da quello infinito di Dio. L'uomo, nota Berkeley, ha, sì, potere sulle idee, ma soltanto su quelle dell'immaginazione e non già su quelle attuali (che si riferiscono agli oggetti presenti, alle leggi della natura, ecc.). È Dio dunque l'autore di quelle idee che noi identifichiamo con la realtà stessa.
Posti questi principi, Berkeley si accinge, nelle opere apologetiche, a confutare le obiezioni dei liberi pensatori. Più che di una confutazione, però, si tratta di una rivendicazione della ragionevolezza della religione rivelata e della superiorità del cristianesimo sul deismo. È ragionevole, dice Berkeley, aver fede nelle verità rivelate giacché esse non possono portare che benefici effetti nel campo della morale; né è meno ragionevole accettare le verità rivelate di quanto non sia accettare gli assiomi matematici. Inoltre, il deismo dei liberi pensatori porta necessariamente all'ateismo (cioè alla dimenticanza di un Dio ridotto ad astratto principio primo) e all'anarchia morale; il cristianesimo, invece, all'impegno morale nel mondo. Si ritrova dunque sempre, accanto al motivo religioso, il motivo etico. E se, negli scritti del secondo periodo, Berkeley muove dalle istanze religiose e perviene a quelle morali, negli scritti del terzo periodo il passaggio è inverso. Sollecitato a scrivere in occasione di un'epidemia (della quale credeva di avere trovato il rimedio nell'acqua di catrame, come testimoniala sua opera Siris, 1744, La catena), egli sviluppa una metafisica della luce di origine neoplatonica. Dio, egli scrive, che i Salmi ci dicono rivestito di luce, cioè della materia più pura, parla attraverso la luce, cioè attraverso i fenomeni (o idee), segni del suo linguaggio. Appare qui evidente la unità di fondo, ravvisata nel problema religioso, del pensiero di Berkeley: si vede infatti come l'idealismo gnoseologico (le idee sono segni del linguaggio divino) si concilia con la metafisica neoplatonica (la natura come manifestazione immediata di Dio), attraverso la mediazione di una morale ispirata alla religione cristiana (la religione rivelata è la sola garante della morale). Altre opere: Three Dialogues between Hylas and Philonous (1713; Tre dialoghi fra Hilas e Filonous), Alcyphron or the Minute Philosofer (1728; Alcifrone o il filosofo minuzioso).