Edwin Powell Hubble nasce il 20 novembre 1889

  Biografia a cura di Chiara Oppedisano

Ritratto di Edwin Hubble, immagine di pubblico dominioEdwin Powell Hubble è l’astrofisico che nel secolo scorso rivoluzionò l’astronomia e la conoscenza dell’Universo, così come Copernico e Galileo fecero tra il 1500 e il 1600. Hubble nacque il 20 novembre 1889 in una piccola cittadina del Missouri, poco prima che la sua famiglia si trasferisse nell’Illinois. Da bambino amava i romanzi di fantascienza di Jules Verne e a scuola aveva un ottimo rendimento in tutte le materie (fuorché nello “spelling”). Ma ancor più si distingueva per le sue capacità atletiche: giocava a baseball e a football, finiva sempre ai primi posti nelle gare di atletica (stabilì il record dello stato dell’Illinois nel salto in alto) e nel 1907 trascinò la squadra di basket dell’Università di Chicago a vincere il primo storico titolo di “conference”.

Iniziò gli studi all’Università di Chicago, scegliendo legge per non contrariare il padre, e conseguì il diploma di laurea triennale nel 1910. Fu uno dei due studenti selezionati per la prestigiosa borsa di studio Rhodes che gli consentì di proseguire gli studi a Oxford in Gran Bretagna, dove passò dallo studio della giurisprudenza a quello dello spagnolo. Rientrato negli Stati Uniti nel 1913, divenne professore di spagnolo, matematica e fisica (nonché allenatore della squadra di basket) in una scuola superiore dell’Indiana. Dopo un anno, però, tornò a Chicago per seguire la sua passione e studiare astronomia all’Osservatorio dell’Università di Chicago, dove conseguì il titolo di dottorato nel 1917 discutendo una tesi dal titolo “Investigazione fotografica di nebulose deboli”. Durante la prima guerra mondiale si arruolò volontario nell’esercito, ma non combatté mai. All’indomani della guerra, nel 1919, il direttore dall’Osservatorio di Mount Wilson (Pasadena, California) gli offrì una posizione in quello che in quegli anni era l’osservatorio dotato delle apparecchiature più all’avanguardia a livello mondiale. Hubble accettò e Mount Wilson rimase il suo punto di osservazione dell’Universo per il resto della sua vita. Siamo nel 1920 e l’astronomia è limitata a una concezione di un universo statico (ovvero non soggetto ad alcuna evoluzione), i cui confini sono quelli della Via Lattea, la nostra galassia. Hubble, osservando quelle che venivano definite “nebulose”, identificò una classe di stelle variabili, caratterizzate da una chiara correlazione tra il periodo di variabilità e la loro luminosità assoluta, che permetteva di calcolarne la distanza con estrema precisione. Queste stelle, dette Cefeidi, sono tuttora utilizzate come “candele standard” proprio per determinare la distanza degli ammassi e galassie in cui si trovano.

All’inizio del 1925 Hubble annunciò che le nebulose, datate per mezzo delle stelle variabili Cefeidi, erano distanti milioni di anni luce dalla Terra, una distanza troppo grande per trovarsi all’interno della Via Lattea. Le nebulose in realtà non erano che altre galassie! E l’Universo diventava così molto più ampio di quel che si immaginasse.
Hubble iniziò con i suoi collaboratori a studiare e a classificare molte nuove galassie. Portando avanti questo lavoro Hubble iniziò a osservare che la luce proveniente da galassie lontane appariva con lunghezze d’onda maggiori ed energie minori di quelle attese. Questo effetto è del tutto simile a quello di un suono che si sta muovendo rispetto all’osservatore, proprio come quando una sirena si allontana dal punto in cui ci troviamo e la sua lunghezza d’onda aumenta mentre la sua frequenza diminuisce (effetto Doppler). In astronomia si parla di “redshift” delle galassie. Hubble realizzò che le galassie erano in moto di allontanamento dalla Terra e che la loro velocità aumentava proporzionalmente alla loro distanza. Nel 1929 pubblicò la legge che prenderà il suo nome e che lega la velocità e la distanza delle galassie:

velocità = H x distanza

H è la cosiddetta costante di Hubble, il cui valore in realtà è cambiato nel tempo (Hubble aveva misurato un valore che in seguito si è dimostrato troppo elevato) e viene continuamente raffinato da misure sempre più precise. L’Universo dunque era più vasto di quanto non si pensasse e per di più era in espansione. Questa scoperta sensazionale spalancò le porte alla teoria del Big Bang, che fu proposta dalla fine degli anni ’20 a partire dagli studi di Georges Lemaitre.


Qualche anno prima, nel 1917, Albert Einstein aveva formulato la teoria della relatività generale, le cui equazioni descrivevano un universo in espansione (o in contrazione), in contrasto con la teoria di universo statico dell’epoca. Einstein aveva perciò introdotto ad hoc una costante, la cosiddetta “costante cosmologica”, che contrastasse l’espansione facendo tornare le equazioni a universo statico. Quando Einstein venne a sapere della scoperta di Hubble si recò all’osservatorio di Mount Wilson per incontrarlo e dichiarò che la costante cosmologica era stata l’abbaglio più grosso della sua vita.


Hubble ebbe un attacco di cuore nel 1949, in seguito al quale non poté tornare come prima a passare le notti al più grande telescopio dell’epoca per studiare galassie lontane. Morì a causa di un’embolia cerebrale nel 1953, a soli 63 anni. Ebbe moltissimi riconoscimenti per le sue sensazionali scoperte, ma non ricevette il premio Nobel: a quell’epoca infatti gli astronomi non erano eleggibili per il Nobel in fisica; la regola fu cambiata subito dopo la sua morte. In suo onore sono stati denominati un cratere lunare e un asteroide, ma il tributo più grande che gli è stato dedicato è senz’altro il telescopio che porta il suo nome. Lanciato in orbita a 101 anni dalla nascita dell’astronomo che ci ha svelato l’immensità e la mutevolezza dell’Universo, il nome “Hubble” continua a meravigliarci con immagini provenienti dal cosmo più profondo.

telescopio Hubble in orbita, immagine NASA

 Figura 1: il telescopio della NASA Hubble, in orbita dal 1990

Fonti delle immagini

Ritratto in copertina: Johan Hagemeyer (1884-1962), Public domain, via Wikimedia Commons

Figura 1: NASA