percorso di Silvia Miozzi - 2020

I primi studi sull’elettricità fatti con gli elettroscopi mostrarono un misterioso comportamento dello strumento. Una volta caricato elettrostaticamente, le foglioline d’oro così separate tendevano a riunirsi spontaneamente. Lo strumento cioè si scaricava senza alcuna operazione. Capire la ragione della scarica spontanea degli elettroscopi, fenomeno apparentemente banale e senza particolare interesse, si rivelò, come vedremo, all’origine di un nuovo fondamentale settore della ricerca.

Da pochi anni i fisici avevano scoperto l’esistenza della radioattività naturale, cioè l’emissione spontanea di particelle da parte di alcuni materiali, e sembrava che la velocità di scarica degli elettroscopi fosse dovuta alla presenza di radioattività più o meno intensa nelle sue vicinanze. Venne quindi naturale attribuire la scarica degli elettroscopi ad una radioattività in qualche modo presente nel terreno, cioè ad una radioattività di “fondo” presente ovunque, anche in assenza di uno specifico materiale radioattivo. Naturalmente si poneva il problema di capirne l’origine.

Siccome si ritenne che la causa fosse nel terreno, fu naturale controllare questa ipotesi spostando gli elettroscopi in alto, il più lontano possibile dal suolo per vedere se l’effetto diminuiva.

Padre Theodore Wulf fu il primo ad indagare il fenomeno in modo sistematico e con un elettroscopio di particolare qualità. Scelse di fare misure sulla sommità della Torre Eiffel, 300 metri più in alto del sottostante parco. Appena acceso lo strumento con grande stupore si accorse che il segnale fornito dall’elettroscopio non era quello che aveva immaginato.
Non era cioè diminuito come atteso.

Tra i vari studiosi che indagarono il fenomeno, un ruolo importante lo ebbe il fisico italiano Pacini che per la prima volta pensò di mettere rivelatori non in alto ma sotto la superficie dell’acqua, aprendo la strada a quella che poi fu la sperimentazione nei laboratori sotterranei. I suoi risultati suggerirono di nuovo che la fonte di questa misteriosa radiazione che agiva sugli elettroscopi non dovesse essere legata al suolo terrestre.

Anche se non definitivi, questi risultati crearono molto scompiglio nella comunità scientifica e vennero ritenuti inattendibili dalla maggior parte degli scienziati finché, nel 1912, il fisico austriaco Victor Hess decise di effettuare un nuovo esperimento, per quei tempi innovativo e audace. Si trattava di portare lo strumento non a 300 metri dal livello del suolo, ma a migliaia di metri di altitudine con un pallone areostatico. Questo avrebbe consentito di chiarire se, insieme alla radioattività di fondo, ci fosse un’altra sorgente di radiazione esterna alla Terra. Hess si rendeva conto che, per togliere ogni dubbio alla misura, era necessario che sul pallone ci fosse un esperto in grado di operare lo strumento e di interpretare i risultati con certezza. Decise di imbarcarsi lui stesso sul pallone.
Dopo alcuni voli, il 7 Agosto 1912 fu un giorno memorabile!

hesse

Man mano che il pallone si innalzava dal suolo, il livello di radiazione, in accordo con quanto osservato da Wulf, diminuiva molto più lentamente di quanto atteso, fino a stabilizzarsi verso i 700 metri. A partire dai 1500 metri di elevazione, il segnale ricominciò a crescere finché, a 5000 metri dal suolo, raggiunse un livello addirittura doppio rispetto al segnale di fondo misurato al suolo.

Non c’erano più dubbi: una radiazione di origine ignota proveniva dallo spazio penetrando l’atmosfera terrestre!
Per questa scoperta, Hess venne insignito del premio Nobel nel 1946.

La natura di questa radiazione proveniente dal cosmo restò misteriosa per molti anni. Nel 1925, R.A. Millikan, ipotizzò che consistesse di raggi gamma (onde elettromagnetiche) fuori della zona del visibile, dandogli il nome di “raggi cosmici”.
Un altro fisico importante, A. H. Compton, riteneva invece che si trattasse di particelle cariche. Esperimenti successivi mostrarono che la seconda ipotesi era quella valida. La distribuzione della radiazione variava infatti con la latitudine, come ci si attende appunto per le particelle cariche (e non per i raggi gamma, che non hanno carica) sotto l’influenza del campo magnetico terrestre.

Nel 1930, il fisico italiano B. Rossi ebbe l’idea di sfruttare il campo magnetico terrestre per determinare la carica delle particelle. Infatti egli notò che, se la carica delle particelle era positiva, esse dovevano provenire in maniera preferenziale da est. Per realizzare le sue misure Rossi sviluppò il primo esempio di “telescopio di raggi cosmici” e, per ridurre il fondo di eventi casuali, mise a punto il cosiddetto circuito di coincidenza.  Fu questa una vera rivoluzione tecnologica applicata in tutti i successivi esperimenti di fisica. La tecnica di coincidenza consiste nel mettere in correlazione temporale più rivelatori per assicurarsi che la stessa particella, o particelle legate allo stesso evento fisico, attraversino ‘contemporaneamente’ tutti i rivelatori in coincidenza.

Il suo esperimento fu realizzato in Eritrea, vicino all’equatore, dove la deflessione attesa in seguito all’azione del campo magnetico terrestre era maggiore.
Poté così confermare che la radiazione cosmica era composta prevalentemente da particelle cariche positivamente.

Ma il termine “raggi cosmici”, creato nell’ipotesi che si trattasse di una radiazione senza carica, era ormai entrato nell’uso comune. Oggi sappiamo molte cose sui raggi cosmici, ma tante sono quelle ancora ignote.