Già Aristotele scrive che nel moto violento, cioè per oggetti lanciati, l’impulso viene trasmesso al mezzo (aria o acqua). L’oggetto lascia il vuoto dietro di se. La natura ha orrore del vuoto, quindi il mezzo riempie rapidamente lo spazio vuoto spingendo l’oggetto!
(500...dc) Giovanni Filipponio (commentatore greco di Aristotele) nel moto violento non si spiega:
1- perché il lanciatore deve toccare l’oggetto invece di agire sul mezzo, aria o acqua.
2- perché due corpi che si sfiorano in aria non deviano come quelli che si urtano.
3- perché si può lanciare più lontano un corpo pesante invece di uno leggerissimo.
Conclude: falsificata l’ipotesi che il motore cedesse la sua forza motrice al mezzo(che esercita piuttosto una resistenza al moto) conclude che esso cedeva la forza al corpo: “bisogna che una certa potenza motrice immateriale sia impartita dal proicente al proietto”.
L’idea ripresa da Avicenna e da altri pensatori islamici fu rozzamente formulata nel mondo latino dall’inglese Riccardo Rufo solo nel 1200.. e si diffuse nel 1300 quando un francescano italiano Francesco Marchia nel contesto di una discussione teologica sull’eucarestia sviluppa un interessante analisi del moto violento di una pietra verso l’alto: “i proietti rimangono in moto perché assorbono dal motore l’impulso di una forza residua (forza derelicta)” Nel Medioevo si trovano discussioni sul moto nei testi teologici relativi a tentativi di soluzioni logiche per problematiche di argomenti di fede complessi, come l’eucarestia, la concezione immacolata, l’ubiquità angelica ecc. il tutto era finalizzato alla diffusione dei vangeli tra gli infedeli. La velocità e il peso erano considerate delle qualità come la generosità, la purezza ecc.
(1330) Giovanni Buridano nei suoi corsi all’Università di Parigi, la Sorbonne, e in De Caelo sostenne che: il proicente imprimeva al proietto una forza detta impetus, in funzione del peso e della velocità impressa, che agiva come una sorta di motore interno e perdurava finché non prevalessero forze contrarie come la resistenza del mezzo o la tendenza del corpo verso il suo luogo naturale. La proporzionalità tra forza (impetus) peso e velocità è una novità, che conduceva alla soluzione di problemi tali quali: perché si possa scagliare più lontano un sasso di una piuma oppure perché sia più difficile frenare una grande nave che una piccola barca oppure perché sia utile prendere la rincorsa per fare un lungo salto. Ma la teoria dell’impetus poteva essere generalizzata ad altri problemi come la caduta dei gravi e conduceva ad un approccio rivoluzionario al moto delle stelle: con prudenza B. scrive “rimettendomi al parere dei signori teologi Dio dopo averle create, diede una spinta alle sfere celesti, che in assenza di resistenza non si sarebbe indebolita o distrutta con il passare del tempo. Ovviamente rendeva superflue le intelligenze motrici di Aristotelee dei peripatetici, greci arabi e latini, senza abolire la differenza di sostanza tra Cielo e Terra. Ma Buridano faceva il primo passo per l’unificazione fra la Meccanica Terrestre e Celeste ed introduceva il concetto di impulso (momento)..
Piero Dalpiaz – Fisico
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