L'incapsulazione di idrogeno è una delle forme di accumulo dell'idrogeno finalizzata alla conservazione e all'agevole riutilizzo con standard di sicurezza elevati. L’incapsulamento di idrogeno avviene all'interno di microsfere di vetro. Tali microsfere di vetro sono permeabili all'idrogeno gassoso quando la temperatura e pressione sono maggiori di valori predefiniti. Le temperature di lavoro possono variare da 200-400°C . Il riempimento delle microsfere avviene per immersione delle stesse in un ambiente saturo di idrogeno gassoso a temperatura e pressioni elevate. Il processo di riempimento delle microsfere, a temperatura e pressioni atmosferiche, intrappola l'idrogeno per usi successivi. Le microsfere adatte allo scopo sono già disponibili incommercio, in numerosi tipi, di diversa taglia, spessore e composizione del vetro; esse si presentano sottoforma di polvere sottile. L’estrazione dell’idrogeno dalle microsfere avviene tramite il loro riscaldamento. Al di sopra di predefinite temperature le pareti diventano permeabili lasciando diffondere l'idrogeno verso l'esterno. L’energia termica impiegata è generalmente fornita da un riscaldatore elettrico (alimentato dalla stessa fuel cell nel caso di un sistema in cui sia prevista). Le microsfere possono essere riutilizzabili o monouso. Infatti, il rilascio dell’idrogeno può essere provocato anche meccanicamente con la rottura delle sfere, con minor dispendio di energia in loco e quindi più autonomia, con lo svantaggio però di non poterle più riutilizzare se non come vetro-base da riciclare. Secondo alcuni studi non recenti questa tecnica ha buone prospettive sia per la portabilità, l'efficienza complessiva che per la competitività economica. Per converso in America, nel 1999, hanno sospeso le attività di ricerca a seguito di una analisi costi e prestazioni non favorevoli. Ad oggi non risulta esserci un prototipo di mezzo di trasporto che adotti tale soluzione. Un altro sistema di accumulo (o strategia di stoccaggio) che prevede incapsulazione relativamente all'idrogeno è la produzione di capsule contenenti composti di sodio , potassio o litio . Questi composti, quando liberati in acqua e in presenza di catalizzatori , reagiscono rilasciando idrogeno e dando vita a composti, a loro volta riciclabili, come idrossido di sodio, idrossido di potassio, ecc.. Attualmente vi sono alcuni prototipi sperimentali ma sembra che la tecnica sia poco competitiva. Infine una nota casa automobilistica tedesca, che ha realizzato alcuni prototipi alimentati ad idrogeno contenuto in serbatoi criogenici ( -240° C cioè 33 gradi centigradi sopra lo zero assoluto ), presenta il sistema come un "particolare processo di incapsulazione dell'idrogeno nel serbatoio che ne rende del tutto sicuro l'utilizzo come combustibile". In sostanza si tratta di un sistema di accumulo di idrogeno liquido in contenitori criogenici . Un' ulteriore tecnologia, la nanotecnologia che permette un' elevata densità di energia, impiega strutture nanoporose (celle< 50 nm (nanometri ) [277] [18], di carbonio/grafite, composti di boro , polimeri , ecc. Recentemente l’impiego di nanotubi di grafite a singola parete di 6,8 nanometri ha evidenziato vantaggi in termini di sicurezza nella conservazione.
Tale soluzione è ancora in una fase di ricerca precompetitiva. Si stanno studiando i fenomeni di assorbimento e rilascio dell’idrogeno per i vari tipi di nanotubi diversi dal carbonio , ad esempio con composti di boro . Attualmente nessuno di questi sistemi può però ancora essere sfruttato commercialmente. Una panoramica dei vari sistemi di accumulo è desumibile nel sito della Energoclub oppure dal rapporto “Hydrogen Storage: State-Of-The-Art And Future Perspective – 2003” recentemente pubblicato dalla Comunità Europea .
Gianfranco Padovan – Ingegnere: Presidente Tecnico Ernoclub
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