Macchine per la ricerca
L’esperimento LUNA ovvero il Sole sottoterra
a cura di Paolo Prati
LUNA è il nome così evocativo dell’unico satellite del nostro pianeta ma, da circa 25 anni, è anche la sigla che individua una ricerca di frontiera nelle viscere del Gran Sasso (LNGS), uno dei quattro laboratori nazionali dell’INFN. LUNA infatti è l’acronimo di Laboratory for Underground Nuclear Astrophysics ed è il nome con cui una nuova linea di ricerca, l’astrofisica nucleare sotterranea, è stata battezzata e si è diffusa nel mondo. A questo punto però è necessaria una premessa.
L’osservazione degli astri e il tentativo di comprenderne natura e comportamento è stata una delle prime attività scientifiche dell’umanità. Non possiamo qui ripercorrere questa affascinante vicenda ma va detto che solo recentemente, alla fine degli anni 30, si è compreso che le stelle producono l’enorme quantità di energia che poi irraggiano nel cosmo grazie a reti molto complesse di reazioni termonucleari, ovvero processi in cui nuclei atomici fondono tra loro e liberano appunto energia. Per inciso, è lo stesso meccanismo che la nostra società tecnologica cerca da circa 50 anni di riprodurre artificialmente per costruire un reattore a fusione nucleare in grado di produrre energia con un impatto ridottissimo sull’ambiente e con scorte di combustibile pressoché inesauribili (essenzialmente idrogeno, l’elemento chimico di gran lunga più abbondante nell’Universo, e i suoi isotopi deuterio e trizio). Più in dettaglio, oggi sappiamo che le stelle si formano a partire da “nubi” di materia che, sotto l’azione della forza di gravità, iniziano a contrarsi e quindi a riscaldarsi fino a raggiungere temperature alle quali la fusione nucleare diventa possibile.
È questo il momento in cui una stella si “accende” o, per certi versi, nasce. La composizione delle nubi proto-stellari è la stessa che si ha pochi minuti dopo il Big Bang e quindi è quasi totalmente dominata dall’idrogeno. Sono infatti nuclei di atomi di idrogeno, e cioè singoli protoni, che iniziano a fondere tra loro per formare elio e poi, nelle fasi più avanzate della vita della stella, carbonio, ossigeno e, con meccanismi via via più complessi e concitati, tutti gli elementi che compongono la tavola periodica. Questo è un incrocio veramente intrigante: le stelle (tra cui il nostro Sole) sono sorgenti di enormi quantità di energia ma sono anche le dove tutti (tranne l’idrogeno) gli elementi chimici che formano il nostro mondo sono costruiti e, grazie alle spettacolari esplosioni di novae e supernovae, dispersi nel cosmo.
È proprio dalle ceneri di qualche stella giunta alla fine del suo ciclo che si è formata la nube di materiale che è poi diventata il sistema solare, il nostro pianeta, gli elementi stessi che formano le nostre ossa, i muscoli e il nostro cervello che ci permette di comprendere questa complessa vicenda…a tutti gli effetti noi siamo fatti di polvere di stelle! Da un altro punto di vista, è interessante sottolineare come il prepotente sviluppo tecnologico dell’umanità ci permette ora di costruire molecole e materiali con prestazioni sempre più incredibili (un esempio tra tutti: il grafene) a partire dagli atomi che troviamo e raccogliamo sul pianeta…ma questa “materia prima” è stata in realtà prodotta in qualche stella ormai morta. Solo in tempi recentissimi (e con enormi dispendi energetici) abbiamo imparato a trasformare gli atomi anche nei nostri laboratori.
La camera di reazione in rame elettrolitico all’interno della quale gli ioni accelerati interagiscono un gas bersaglio nelle stesse condizioni energetiche che si trovano nel centro delle stelle.
L’intreccio che abbiamo brevemente descritto tra evoluzione delle stelle, e quindi astrofisica, e reazioni nucleari è una matassa complicata e l’astrofisica nucleare è il settore della ricerca che cerca di dipanarla. Infatti, se il quadro nel suo complesso è noto, ci sono però numerosissimi aspetti che ancora non sono compresi. Uno tra tutti: i diversi tipi di reazioni nucleari che sono coinvolti nell’evoluzione stellare avvengono con probabilità estremamente basse. Questo è un bene perché così le stelle bruciano lentamente e mantengono per tempi molto lunghi condizioni stabili nei sistemi planetari rendendo così possibile l’evoluzione dei sistemi biologici…un aspetto che ci riguarda da vicino. Tali reazioni devono però essere conosciute per comporre e comprendere il quadro complessivo. E qui le cose diventano enormemente difficili. Per studiare in un laboratorio queste cruciali reazioni nucleari bisogna cercare di riprodurre le condizioni che si hanno al centro delle stelle dove i nuclei atomici, per effetto delle enormi temperature (da qualche decina a qualche centinaio di milioni di gradi), acquistano velocità e si scontrano continuamente tra loro innescando così un numero considerevole di reazioni. La stessa situazione viene ricostruita in laboratorio usando acceleratori di particelle ovvero macchine che consentono di portare alla velocità desiderata ioni selezionati (atomi privati di uno o più elettroni) che, come proiettili, vengono fatti incidere su altri atomi contenuti in un opportuno bersaglio. In questo modo si può riprodurre in laboratorio il moto relativo che contraddistingue il gas stellare ma naturalmente avendo a disposizione una quantità di combustibile enormemente più piccola. Di conseguenza, considerata la bassissima probabilità di reazione, si riescono a indurre solo pochissime reazioni (per rendere l’idea: una reazione al giorno è già un risultato molto favorevole) che vengono poi rivelate con conseguente grande e talvolta insuperabile difficoltà. Infatti, gli strumenti che riescono a captare queste reazioni, i cosiddetti rivelatori di particelle, sono anche, e inevitabilmente esposti, a una sorta di “rumore” dovuto a una grande e variegata quantità di sorgenti di segnali simili quali la radiazione cosmica e la radioattività ambientale. Insomma, è come se in uno stadio affollato un tifoso cercasse di percepire un bisbiglio nella curva opposta mente una delle due squadre segna un goal…il “segnale” è enormemente più basso del “rumore” e non può essere individuato. E qui finalmente andiamo sottoterra.
Uno dei giovani ricercatori di LUNA presenta i risultati di un particolare esperimento durante una delle riunioni periodiche della Collaborazione
Agli inizi degli anni novanta un gruppo di ricercatori dell’INFN e dell’Università di Bochum (FRG) ha avuto un’idea semplice, ma nello stesso tempo rivoluzionaria: perché non andare a eseguire gli esperimenti di astrofisica nucleare sottoterra? In altri termini: perché non costruire un laboratorio sotterraneo dove un acceleratore di particelle possa inviare i suoi “proiettili” su bersagli particolarmente puri? Sottoterra infatti gran parte del “rumore” che affligge questi esperimenti, in particolare quello dovuto alla radiazione cosmica, è fortemente soppresso e quindi diventa possibile, ma sempre molto difficile, percepire i deboli segnali delle reazioni nucleari che si cerca di indurre. Così è nato l’esperimento LUNA che ha ottenuto risultati straordinari: per la prima volta è stato infatti possibile misurare direttamente la probabilità delle principali reazioni nucleari che, in questo momento, alimentano il nostro Sole e producono gli elusivi neutrini, oggetto di intense ricerche in tutto il mondo. LUNA, che è oggi una collaborazione internazionale che coinvolge circa 50 ricercatori dell’INFN e di Università tedesche, inglesi e ungheresi, ha utilizzato fino ad ora due piccoli acceleratori di ioni e ha potuto risolvere i problemi legati alla fase detta quiescente dell’evoluzione stellare. In questo periodo, il più lungo della vita di una stella, le reazioni nucleari trasformano l’idrogeno in elio liberando appunto enormi quantità di energia. Quando l’idrogeno a disposizione è terminato, la stella si contrae, si scalda ulteriormente e così si creano le condizioni per la fusione di nuclei di elio per formare il carbonio, l’ossigeno e così via. Lo studio in laboratorio di delle reazioni importanti in queste fasi evolutive richiede di usare “proiettili” più veloci e quindi acceleratori più potenti. Questo è il motivo per cui il laboratorio LUNA, dopo circa 25 anni di attività all'interno del laboratorio del Gran Sasso, sta per dotarsi di una nuova macchina, acquistata dall’INFN grazie a un finanziamento ad hoc del Ministero della Ricerca (più di 5 milioni di euro), che consentirà di raggiungere energie 10 volte superiori alle precedenti e di affrontare quindi nuove ed affascinanti sfide…sarà un lavoro lungo, almeno 20-30 anni, ma che consentirà di collocare nel punto giusto tante essenziali tessere che oggi mancano e di comporre finalmente l’immagine di questo straordinario mosaico. Fortunatamente, l’esperimento LUNA vede la partecipazione di molti giovani ricercatori tra i 25 e i 35 anni che avranno quindi la possibilità di sviluppare la loro carriera in questo ambito multidisciplinare sia dal punto di vista scientifico che tecnologico.
La sala sperimentale nel laboratorio LUNA all’interno dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso: l’attuale acceleratore che raggiunge una tensione massima di 400 kV e (a destra) le due linee lungo le quali gli ioni accelerati possono essere trasportati per colpire bersagli solidi o gassosi.