barca a vela al tramonto, pixabay 2022Il percorso Dalla geografia del mare all’oceanografia scientifica è dedicato a un progetto di oceanografia storica condotto da 23 studenti universitari a bordo della nave Amerigo Vespucci. Gli studenti coinvolti hanno partecipato alla missione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia mirata allo studio del contributo di scienziati del passato alla geografia del mare e alla valorizzazione di strumenti oceanografici antichi e recenti.

Un corso per ripercorrere le tappe fondamentali

di Annalisa Plaitano

 

F1 amerigo vespucci

foto copyright Annalisa Plaitano

 

Dall’11 al 18 ottobre 2016 un gruppo di 23 studenti universitari ha partecipato a un progetto di oceanografia storica a bordo della nave scuola Amerigo Vespucci. Il progetto, maturato nell’ambito della riflessione sulla conservazione degli strumenti oceanografici del passato e sulla ricerca storica, è stato organizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con la Marina Militare Italiana e con il supporto tecnico-scientifico di Historical Oceanography Society (HOS), Distretto Ligure delle Tecnologie Marine (DLTM), Scuola Internazionale di Tecnologie Marine (SITM), Istituto Idrografico della Marina Militare (IIM), Monitoraggio Ambientale e Ricerca Innovativa Strategica (MARIS), del Centro di Supporto Sperimentazione Navale (CSSN) della Marina Militare e del Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) della NATO.

 

Aristotele, Plinio il Vecchio e Strabone sono solo alcuni dei nomi legati agli albori dello studio del mare, che fin dai tempi antichi ha spinto i grandi osservatori della natura a formulare ipotesi – a volte anche fantasiose – sull’origine delle maree e delle correnti, sulla profondità, sulla salinità e su altri fenomeni marini.

Prima ancora dell’interesse scientifico, fu l’interesse economico a motivare l’uomo allo studio approfondito del mare: il commercio, la pesca, la caccia alle balene, la ricerca di risorse, ma anche la conquista di nuove terre e il monopolio marittimo. Qualcuno esplorò il mare alla ricerca della fonte dell’eterna giovinezza, della gloria o semplicemente per sfidare i limiti umani.

Fino al XVII secolo, però, lo fecero in maniera empirica, guidati da informazioni aneddotiche, basandosi su racconti di pescatori e su mappe talvolta corredate da spiegazioni esoterico-magiche. Ciononostante, nel 1598, il gesuita Giovanni Botero scrisse quello che può essere considerato il primo testo italiano di oceanografia, le Relazioni del mare.

È interessante riscoprire alcuni scienziati del passato attraverso il loro contributo all’oceanografia, allora geografia del mare. Robert Boyle noto chimico, compì studi sulla salinità e le caratteristiche termiche dell’acqua di mare; Robert Hook, il Leonardo d’Inghilterra, fabbricò i primi strumenti per scandagliare le acque profonde; Galileo Galilei nel Discorso sul flusso e il reflusso del mare formulò una teoria, rivelatasi in seguito errata, per spiegare le maree.

Basandosi su modelli sperimentali Luigi Ferdinando Marsili, uno dei padri italiani dell’oceanografia trapiantato in Francia, scrisse Histoire physique de la mer. Pubblicato nel 1725, il libro rappresenta il primo testo di idrografia.

Più tardi l’inventore e uomo politico Benjamin Franklin disegnò la prima mappa della Corrente del Golfo nella sua completa estensione e successivamente Charles Darwin diede una spiegazione dell’origine degli atolli.

Decisivi per la nascita dell’oceanografia – intesa in senso moderno come disciplina scientifica – furono gli anni tra il 1855, anno di pubblicazione del Physical geography of the sea di Matthew Fontaine Maury e il 1872, data d’inizio della prima campagna oceanografica, la spedizione Challenger di Charles Wyville Thomson.

Tutte queste storie, così come molte altre, meritano di essere riscoperte e raccontate. È quello che si ripropone di fare l’Historical Oceanography Society che ha a cuore la conoscenza, la conservazione e la diffusione di testi, mappe e documenti antichi sull’oceanografia.

Un’altra missione dell’HOS, congiuntamente all’INGV, è la preservazione di strumenti oceanografici antichi e recenti, alcuni anche di notevole valore storico, che per mancanza di una apposita legislazione vengono talvolta gettati o abbandonati in magazzini polverosi.