di Franco L. Fabbri e Luigi Benussi
Pierre Simone de Laplace
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Nel 1796 l’astronomo francese Pierre Simon Laplace immaginò che potessero esistere “corpi oscuri” la cui tremenda forza di gravità impediva alla loro stessa luce di raggiungerci.
Anche lo studioso inglese Jhon Mitchell, qualche anno prima (esattamente nel 1783), aveva ipotizzato un tale fenomeno, ma a quel tempo si trattava in entrambi i casi solo di ipotesi fantasiose.
È Albert Einstein (ancora lui!) che con la teoria della relatività generale , ”consente” ai buchi neri di esistere. La relatività generale ci dice infatti che attorno ad ogni oggetto materiale lo spazio si curva. Facciamo un esempio considerando uno spazio a due dimensioni: quello di un telo elastico teso ai suoi estremi. In assenza di oggetti sulla sua superficie il telo è perfettamente piano, le linee tracciate con una squadra sono rette e formano fra loro angoli di 90 gradi. Supponiamo ora di poggiare su questo telo elastico una palla pesante.
Fonte dell’illustrazione:
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Il telo si curverà e le righe che avevamo tracciato seguiranno un percorso che sarà tanto più curvo (geometria non euclidea) quanto più le righe stesse saranno vicine alla palla.
Le linee più lontane ci appariranno ancora rette e il telo a grande distanza dalla palla sarà ancora piano. L’esempio in due dimensioni ci fa intuire come agisca la gravità nello spazio tridimensionale.
La curvatura dello spazio determina il moto dei pianeti attorno al nostro Sole. Un esempio dell’effetto di una massa (il Sole) sull’orbita di un pianeta (Mercurio) può essere visto in questo breve filmato.
Immaginiamo di comprimere il corpo che determina la curvatura del foglio, mantenendo uguale la sua massa: il foglio si curverà in una zona più ristretta, ma la profondità della deformazione crescerà.
La presenza della massa concentrata influenzerà meno gli oggetti lontani poiché il raggio della depressione si è ridotto, ma ogni oggetto posto in vicinanza sarà irrimediabilmente “catturato”. Se in una piccola regione di spazio la concentrazione di massa cresce molto, lo spazio si curva su se stesso tanto da isolare questa zona dalle zone continue.
Questo accade quando una stella di massa relativamente grande (quelle di massa inferiore a tre masse solari non diventano infatti buchi neri) esaurisce il suo carburante nucleare. Tutta la sua massa si contrae entro un raggio, detto critico.
All’interno del raggio critico il campo gravitazionale diventa così intenso che la luce emessa viene piegata e non può evadere.
Attorno alla posizione occupata una volta dalla stella c’è ora una zona di non-ritorno, chiamata orizzonte degli eventi, dalla quale nulla può uscire.
Ogni corpuscolo materiale, ogni forma di energia (ricordiamo la famosa relazione E=mc2; per cui materia ed energia sono equivalenti) che penetra nella regione delimitata dall’orizzonte degli eventi è catturato da questo famelico oggetto. Un ipotetico pianeta che si trovasse vicino ad un buco nero di massa simile a quella del Sole, ad una distanza di sicurezza, gli orbiterebbe intorno proprio come fa la Terra con il Sole.
Se però la distanza di sicurezza dovesse diminuire fino all’orizzonte degli eventi, allora il pianeta sarebbe risucchiato dal buco nero e noi non potremmo più sapere che fine abbia fatto, perché non potremmo più osservarlo.