I dilatoni cosmici sono particelle prodotte nell’universo primordiale durante la fase inflazionaria , ed eventualmente sopravvissuti sino ad oggi come resto fossile di quelle ere remote. Se sono attualmente presenti essi dovrebbero costituire un fondo di radiazione distribuito in maniera pressoché omogenea ed isotropa su scala cosmica, simile in molti aspetti al fondo cosmico di onde gravitazionali, ma fondamentalmente diverso da quest’ultimo in quanto si tratterebbe di onde di tipo scalare (associate cioè a particelle prive di spin cioè momento angolare intrinseco).
L’interesse verso questo particolare tipo di radiazione fossile sta nel fatto che il dilatone non è una particella presente nel modello standard delle interazioni fondamentali, bensì è una particella tipica dei modelli di stringa: si può addirittura dire che la teoria delle stringhe non sarebbe consistente, nella sua versione quantistica, se non esistesse questa particella scalare. A livello classico, il dilatone genera un campo di forze di intensità simile a quella gravitazionale e che però, a differenza della forza gravitazionale, non agisce in modo universale su tutti i campi materiali. Si pensa infatti che il dilatone si accoppi a barioni e leptoni con intensità diverse, rompendo quindi il principio di equivalenza della relatività generale, anche se la violazione prodotta è così piccola da sfuggire finora a tutte le osservazioni effettuate.
Una rivelazione, diretta o indiretta, di effetti fisici dilatonici fornirebbe dunque un’importantissima verifica delle teorie di stringa. A causa della debolezza dell’interazione dilatonica, però, gli effetti dilatonici diventano non trascurabili, rispetto alle altre interazioni, solo quando la scala di energia si avvicina alla massa di Planck , MP ~ 1019 ( cioè 10 miliardi di miliardi di miliardi di) GeV . Ci aspettiamo dunque che i dilatoni (se esistono) potrebbero essere stati prodotti in abbondanza nelle remote era cosmologiche durante le quali si pensa che tutte le interazioni fossero unificate e che la gravità giocasse un ruolo predominante. In quel regime, i modelli cosmologici basati sulla teoria delle stringhe prevedono infatti la formazione di un fondo cosmico di dilatoni, fondo che non è invece previsto dai modelli standard basati sulla relatività generale. Il meccanismo che produce dilatoni, amplificando le fluttuazioni quantistiche di tipo scalare grazie all’evoluzione accelerata dell’universo, è identico a quello che produce gravitoni e porta alla formazione di un fondo di radiazione gravitazionale .
È possibile che tale fondo sia sopravvissuto sino ai giorni nostri? Dipende dalla massa del dilatone (che purtroppo attualmente non conosciamo, anche se ci sono alcune plausibili congetture). Se il dilatone non ha massa allora è stabile, e si comporta a tutti gli effetti come un “gravitone scalare”: non appena l’energia dell’universo si abbassa al di sotto della massa di Planck il dilatone si disaccoppia dagli altri campi, ed il fondo diatonico si propaga indisturbato fino ai giorni nostri, recando impressa (nel suo spettro energetico) la “radiografia dilatonica” dell’universo risalente all’epoca della sua produzione. Se il dilatone ha massa, esso tende a decadere in radiazione elettromagnetica, e la sua vita media è inversamente proporzionale alla sua massa al cubo, e direttamente proporzionale alla massa di Planck al quadrato. Ne consegue, in particolare, che la vita media del dilatone è dell’ordine dell’età dell’universo attuale quando la massa del dilatone è dell’ordine del centinaio di MeV , ossia circa duecento volte la massa di un elettrone, che pesa circa 10-27 grammi (ci vogliono un miliardo di miliardi di miliardi di elettroni per fare un grammo !). Se il dilatone è più pesante di questo valore limite allora la sua vita media è inferiore all’età dell’universo, tutti i dilatoni cosmici sono già decaduti, e non c’è più nessun fondo di dilatoni da osservare ai giorni nostri. Viceversa, se il dilatone è più leggero di tale limite, allora i dilatoni prodotti nell’universo iniziale sono ancora “vivi”, e possiamo sperare, prima o poi, di catturarne qualcuno.
La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è come rivelare i dilatoni cosmici, ammesso che esistano e che siano abbastanza leggeri da vivere a lungo sino ai giorni nostri. Gli strumenti adatti a rivelare tale fondo, per fortuna, esistono già, e sono le cosiddette antenne gravitazionali, costruite per rivelare le onde gravitazionali di origine astrofisica o cosmologica. La risposta di queste antenne ad un fondo di dilatoni cosmici varia a seconda del fatto che si tratti di antenne “interferometriche” VIRGO , LIGO o di “masse risonanti” NAUTILUS , e a seconda del fatto che i dilatoni siano a massa nulla (o comunque ultraleggeri), oppure siano massivi e non-relativistici. Gli studi fatti sinora mostrano che la sensibilità delle antenne attuali non sembra sufficiente a rivelare il fondo dilatonico cosmico, neppure nelle stime più ottimistiche dell’intensità di tale fondo. Le antenne di futura generazione, però, potrebbero raggiungere la sensibilità necessaria in un futuro non molto lontano. In conclusione, si può dire che un’eventuale futura scoperta di un fondo di dilatoni cosmici sarebbe di estrema importanza perché ci darebbe informazioni sperimentali dirette, da un lato di interesse astrofisico sull’universo primordiale e dall’altro lato di interesse puramente teorico sui modelli di stringa e sulla fisica delle altissime energie.
Maurizio Gasperini – Fisico
Nota redazionale SxT Per ulteriori informazioni, di carattere qualitativo, sui dilatoni cosmici si suggerisce la lettura del libro: “L’universo prima del big bang. Cosmologia e teoria delle stringhe”, M. Gasperini (Franco Muzzio Editore, Roma, Settembre 2002). Per approfondimenti, di tipo specialistico, si consiglia invece il seguente articolo di rassegna: “The pre-big bang scenario in string cosmology”, M. Gasperini and G. Veneziano, Phys. Rep. 373, 1 (2003).
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