di Paolo Lenisa
Si scoprì successivamente che gli isotopi (nuclei con lo stesso numero di protoni ) che contengono un elevato numero di neutroni tendono ad essere instabili [37] , cioè a “decadere” trasformandosi in nuclei diversi. Il neutrone, ad esempio, si può trasformare spontaneamente in un protone emettendo un elettrone, rispettando la legge di conservazione della carica elettrica :
n0 = p+ + e-
Esisteva, però un aspetto sconcertante nel decadimento: elettrone e protone emergevano con energia inferiore a quella aspettata. L’energia si conserva, ma si può trasformare tra varie forme: potenziale , cinetica , chimica, calore. A queste possibilità, Einstein aveva aggiunto quella di convertire energia in massa e viceversa secondo la relazione E = mc2.
Il neutrone ha una massa leggermente superiore a quella del protone. Per la relazione di Einstein, l’energia rilasciata nel decadimento è:
E= mneutrone c2 – [mprotone c2+melettrone c2] > 0
Questa energia in eccesso che avrebbe dovuto manifestarsi in energia cinetica di protone ed elettrone, sembrava invece scomparire nel nulla. Ad accentuare il mistero, c’era l’evidenza che nemmeno le quantità di moto del protone e dell’elettrone emergenti dal decadimento si sommavano in modo corretto. Il principio di conservazione della quantità di moto predice infatti che se un neutrone si dividesse in due particelle, queste dovrebbero viaggiare in direzioni opposte lungo la stessa retta. Il protone e l’elettrone emergevano invece formando un angolo tra loro, come se al decadimento partecipasse una terza particella invisibile. Questa particella doveva essere senza carica e senza massa. Nell’imbarazzante alternativa di abbondonare i principi di conservazione dell’energia e della quantità di moto, il fisico austriaco Wolfgang Pauli ipotizzò l’esistenza di una particella invisibile nel 1931. Fu Enrico Fermi a battezzarla con il nome di neutrino per distinguerla dal neutrone, già noto.