di Paolo Lenisa
La nostra breve storia del vuoto continua alla fine del 1800, questa volta in relazione alla propagazione della luce [057]. In analogia con le onde che si propagano sulla superficie dell’acqua , la fisica nel XIX secolo postulava che per la propagazione nello spazio delle onde elettromagnetiche (come quelle luminose), fosse necessaria la presenza di un mezzo materiale. Tale mezzo venne chiamato "etere luminifero" [353]. Tuttavia, in contrasto con tutto ciò, non c’era evidenza di alcuna resistenza al moto dei corpi da attribuire all'etere. Se lo spazio fosse stato permeato dall’etere, ogni corpo in movimento nell'Universo avrebbe dovuto produrre un vento d'etere che si muoveva alla stessa velocità del corpo in movimento, ma in direzione opposta. Per esempio, la Terra si muove nell'Universo a 30 km/s perciò ci dovrebbe essere un vento a 30 km/s che spazza la Terra in direzione opposta al suo cammino. Nel 1887 Michelson e Morley provarono a misurare la velocità della luce in diverse direzioni per cercare indizi del vento d'etere, usando uno strumento che successivamente prese il nome di interferometro di Michelson. L’esperimento non rivelò alcuna traccia del vento d’etere e condusse alla conclusione che la luce si propaga nel vuoto e che la sua velocità è indipendente dal moto della sorgente e dell'osservatore.
FIGURA 3 – Secondo la fisica del XIX secolo, per permettere la propagazione delle onde elettromagnetiche, lo spazio doveva essere permeato da un mezzo chiamato “etere luminifero”. Nel suo moto di rivoluzione attorno al Sole, la Terra si sarebbe trovata a percorre l’etere in direzioni opposte tra loro. Da una misura della velocità della luce nelle due situazioni, si sarebbe dovuta rivelare la velocità della Terra stessa rispetto all’etere. L’esperimento di Michelson e Morley non evidenziò differenza nella velocità della luce nelle due situazioni ed escluse l’esistenza dell’etere.
Il ragionamento per analogia, ovverossia l’interpretazione di un fenomeno nuovo in termini di quelli già conosciuti, è uno dei meccanismi più adottati ed efficaci che la nostra mente ha a disposizione per comprendere la realtà. A volte però, come nel caso dell’etere, questo meccanismo si rivela fuorviante e conduce a conclusioni completamente errate. Quando un esperimento evidenzia come la logica della natura sia in palese contrasto con il vecchio modo di pensare, è necessario l’intervento dell’intuizione, cioè della capacità della mente umana di reinterpretare il fenomeno secondo schemi diversi. L’esperienza di ogni giorno ci dice che due oggetti si avvicinano o si allontanano tra loro ad una velocità data dalla somma delle due velocità. L’esperimento di Michelson e Morley evidenzia che, per la luce, la cosiddetta “legge galileiana di somma delle velocità” non vale e che la velocità di un raggio di luce è la stessa sia che noi gli andiamo incontro sia che ci allontaniamo da esso. E’ grazie alla capacità di accettare ed interpretare senza preconcetti questa “sconcertante” evidenza, che Einstein concepì la sua rivoluzionaria teoria della relatività speciale: uno dei pilastri della fisica moderna. |
ultimo aggiornamento giugno 2013