a cura di Anna Maragno

«La luna più incantevole / è sorta sulla foresta»1

Il cielo maya

A conclusione del nostro viaggio tra i cieli antichi, ci spostiamo nel continente americano. Non potendo dar conto in questa sede di tutte le concezioni cosmologiche delle differenti civiltà ivi stanziate (ricordiamo le numerose tribù dei Nativi americani del Nord America; i popoli mesoamericani, tra cui spiccano i Maya e gli Aztechi; quelli del Sud del continente, come gli andini Inca), consideriamo, in ragione della sua importanza, la visione del cielo elaborata dai Maya. Più in dettaglio, avremo modo di mettere in luce la peculiare concezione da loro coltivata, basata sulla “ciclicità”: un’idea che si poneva alla base dell’astronomia e trovava la massima espressione nella struttura dei calendari. 

Codice di Dresda, disegno di Anna MaragnoFigura 1. Gli dèi decidono la creazione della Terra (Codice di Dresda).

Un’astronomia legata ai cicli. Il sistema calendariale

La civiltà Maya fiorì tra il II millennio a.C. e il XVI secolo d.C. nella Mesoamerica, più precisamente in alcune aree degli odierni Messico, Guatemala, Honduras, Repubblica di El Salvador e Belize. I primi insediamenti si svilupparono in importanti e numerosi centri urbani, al centro dei quali sorgeva sempre un complesso religioso formato da grandiose strutture in pietra, dotate di gradoni. Queste, denominate piramidi, sono composte da piattaforme sovrapposte di dimensioni decrescenti e ciò vale a distinguerle dalle omonime costruzioni egizie. 

Sequenza di bande incrociate che si alternano a segni rappresentanti la Luna, varie costellazioni e altri simboli, disegno di Anna Maragno

Figura 2. Sequenza di bande incrociate che si alternano a segni rappresentanti la Luna, varie costellazioni e altri simboli che potrebbero rappresentare le posizioni di Venere (Nunnery, Chichén Itzá).

Nonostante le fonti sopravvissute siano estremamente scarne, è opinione condivisa che i Maya abbiano raggiunto conoscenze scientifiche di considerevole livello (tra cui un evoluto sistema di numerazione posizionale in base 20), forse in parte ereditate dalla precedente civiltà degli Olmechi (insediata nel Messico centro-meridionale tra il 1200 a.C. e il 400 a.C.). Gli Olmechi potrebbero aver posto le basi del sistema di cicli calendariali, schema teorico poi adottato dalle successive civiltà mesoamericane (soprattutto il ciclo di 260 giorni). Al di là delle probabili connessioni alla sfera magico-religiosa, gli studiosi si interrogano sulla correlazione di tale numero a calcoli astronomici: 260 corrisponde infatti, approssimativamente, ai 2/3 di un anno delle eclissi (ossia al periodo fra due successivi passaggi del Sole per i nodi dell’orbita lunare), ad 1/3 del periodo sinodico di Marte e a poco meno del periodo medio di visibilità mattutina e di quello di visibilità serale di Venere. Non soltanto: 260 è pari al numero di giorni in cui il Sole descrive il suo apparente moto rimanendo costantemente a nord dello zenith per un osservatore posto negli stessi luoghi in cui era insediata la civiltà degli Olmechi e, poi, quella Maya. 

I Maya chiamavano Tzolkin (ossia, letteralmente, “La ruota dei giorni”), il calendario di 260 giorni, ciascuno associato ad una delle 20 divinità che costituivano il pantheon degli dèi principali (quali “alligatore”, “vento”, “casa”, “coniglio”, “cervo”, “pioggia” e così via) e ad un numero da 1 a 13. A determinati giorni erano inoltre attribuite specifiche caratteristiche (ad esempio, anche presso i Maya esistevano giorni, diremmo, “fausti”). Un secondo calendario, meno complesso del primo e denominato Haab, era solare e formato da 365 giorni, suddivisi in 18 mesi da 20 giorni ciascuno, a cui si aggiungevano altri 5 giorni al termine dell’anno. Anche in questo calendario ogni giorno era legato ad una divinità (tutte differenti da quelle dello Tzolkin) e ad un numero. Il “calendario Maya” era il risultato della fusione dello Tzolkin e dell’Haab. Era necessario attendere approssimativamente 52 anni affinché ad un determinato giorno corrispondesse la stessa combinazione di divinità e numero Tzolkin e di divinità e numero Haab: tale periodo era denominato “Giro del Calendario”. Inoltre, due Giri di Calendario (pari a 104 anni) corrispondevano esattamente a 65 periodi sinodici di Venere. Questo pianeta – il più brillante del cielo – assumeva per i Maya speciali significati ed era legato alla divinità Kukulkan2

Cosmogonia maya

È possibile dedurre, almeno in parte, la concezione cosmogonica maya grazie ai racconti del Popol Vuh (“Libro della Comunità”). Nell’opera sono descritti, oltre alla creazione della Terra, anche i fenomeni naturali celesti e terrestri, i cicli di Venere e la struttura del calendario. 
Si narra che il Creatore, padre e madre di tutte le cose, ordinasse agli dèi di misurare le proporzioni dell’intero universo con l’ausilio di una corda tesa nel cielo e sulla terra. La creazione sarebbe così avvenuta nel rispetto di misure, di proporzioni e di geometrie ben definite. Secondo il Popol Vuh, il cielo e la Terra avrebbero forma quadrangolare; a custodia delle quattro direzioni, il Creatore avrebbe posto altrettante divinità. Ebbene, tale “modello quadrilatero” riferito al macrocosmo doveva rappresentare il modello per ogni aspetto del microcosmo della vita quotidiana. Si rintraccia, infatti, nei rituali religiosi rigidamente sottoposti a regole divine, nella struttura politico-sociale, nel computo del tempo e nella ideazione dei calendari, nella costruzione degli edifici. 

Architettura e astronomia

Alcuni luoghi forniscono preziose informazioni circa le conoscenze astronomiche della civiltà maya: elenchiamo, qui, solo i principali. A Teotihuacán, il primo e il più esteso tra i centri urbani di tutta la Mesoamerica preispanica, sorto nel I secolo d.C. e distrutto quasi completamente nel VII secolo d.C., si poteva percorrere un viale monumentale fiancheggiato dalle cosiddette Piramide del Sole Piramide della Luna. Queste sono così denominate perché, secondo la tradizione, sulla punta della prima sarebbe nato il Sole e, all’apice della seconda, la Luna. 

La Piramide del Sole a Teotihuacán, public Domain

Figura 3. La Piramide del Sole a Teotihuacán.

Presso la città di Xochicalco, esistente sin dal 200 a.C. ma con un apogeo successivo alla caduta di Teorihuacán, si trova una grotta che, con ogni probabilità, costituiva una sorta di osservatorio astronomico per lo studio dei moti apparenti del Sole. Coperta di stucco e dipinta in nero, giallo e rosso, la costruzione ospita un “camino” dalla punta esagonale che, all’interno, presenta una sorta di pendenza che consente alla luce solare di essere proiettata sul pavimento della grotta. Dal 30 aprile al 15 agosto i raggi entrano della caverna; in particolare, nei giorni 14-15 maggio e 28-29 luglio, al mezzogiorno astronomico l’astro si trova allo zenith rispetto al camino ed illumina completamente un’immagine del Sole posta sul pavimento. 

Secondo alcune interpretazioni, anche nei siti archeologici di Uaxactún, Oxkintok e Yaxchilán sarebbe possibile individuare tracce di osservatori solari. Presso Copán, inoltre, l’edificio numero 22 è stato riconosciuto dagli esperti quale “Tempio di Venere” in quanto, oltre a recare sulla sua superficie alcune iscrizioni riferibili al pianeta, presenta una stretta finestra dalla quale è possibile osservare il corpo celeste in determinati giorni durante l’anno. Numerose stele riportano iscrizioni di carattere astronomico, soprattutto relative ai moti della Luna, ai cicli di Giove e di Saturno e alle eclissi solari (anche parziali). 
Sebbene non appartenente all’età antica, è doveroso citare El Caracol, struttura di Chichen Itza (databile approssimativamente al X secolo a.C.) utilizzata, con ogni probabilità, come osservatorio astronomico. In particolare, secondo gli studiosi, tale luogo sarebbe stato deputato non soltanto all’osservazione del pianeta Venere e dei cicli a questo associati, ma anche di altri eventi astronomici quali solstizi, equinozi ed eclissi. 

L’osservatorio astronomico di El Caracol, a Chichén Itzá, Daniel Schwen, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons al link: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Chichen_Itza_4.jpg

Figura 4. L’osservatorio astronomico di El Caracol, a Chichén Itzá.

I quattro Codices

Infine, la tradizione manoscritta. Solo pochissimi codici, miracolosamente scampati alla furia dei conquistadores, sono ad oggi a disposizione degli studiosi. In questa sede ci limitiamo a considerare il Codice di Dresda, il Codice di Madrid, il Codice di Parigi e il Codice Grolier, i cui contenuti sono intrisi di riferimenti astronomici. Benché la loro redazione sia successiva all’età antica (epoca a cui stiamo dedicando la nostra attenzione), l’importanza di questi codici rende impossibile passarli sotto silenzio. 
Il Codice di Dresda (XIII-XIV secolo d.C.) rappresenta un vero e proprio almanacco astronomico: sono infatti descritti il moto orbitale di Venere e i calcoli relativi alle sue fasi, le previsioni di eclissi di Sole e di Luna, gli influssi della Luna sugli uomini, il potere del dio della pioggia di influenzare clima e raccolti e i riti e le celebrazioni relative al nuovo anno. 
Il Codice di Madrid (databile tra il X e il XVI secolo d.C.) contiene una descrizione dello Tzolkin, oltre a diversi calcoli matematici relativi ai cicli lunari e alle eclissi di Venere. Sono poi presenti indicazioni relative ai periodi consigliati per svolgere determinate attività legate all’agricoltura, alla caccia e alla lavorazione del legno. 

 Cervo legato ad uno scorpione da una corda,  disegno di Anna Maragno

Figura 5. Cervo legato ad uno scorpione da una corda: si tratta, probabilmente, di una rappresentazione del pianeta Marte in abbinamento con la costellazione dello Scorpione (Codice di Madrid).

Il Codice di Parigi (collocabile, come il precedente, tra il X e il XVI secolo d.C.) raccoglie notizie di riti e di cerimonie connesse al nuovo anno, di profezie e divinazioni, oltre a cicli calendariali. Inoltre, molte delle immagini di cui è arricchito sono, probabilmente, raffigurazioni di costellazioni.
Il Codice Grolier (dal 2018 ribattezzato ufficialmente Códice Maya de México) risale al XI o XII secolo d.C. e riporta, con notevole precisione, i cicli di Venere.  



Note

1. Incipit de Canzone dei fiori, appartenente alla raccolta di liriche maya denominate Canti di Dzitbalche, nella traduzione di P. Boitani (Id., Il grande racconto delle stelle, Società editrice il Mulino, Bologna, 2012, p. 220). 

2. A proposito di dèi, una curiosità: nella mitologia Maya, la dea della Luna Ixchel è spesso ritratta in compagnia di un coniglio. Singolare parallelismo con la storia di Yutu che abbiamo raccontato nella scorsa tappa


Fonti delle immagini

Figura 1. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.

Figura 2. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.

Figura 3. Public domain, via Wikimedia Commons al link:
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Piramide_del_Sol_072006.JPG

Figura 4. Daniel Schwen, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons al link:
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Chichen_Itza_4.jpg

Figura 5. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.



Bibliografia e consigli di lettura

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Aveni, A. F., Venus and the Maya: Interdisciplinary studies of Maya myth, building orientations, and written records indicate that astronomers of the pre-Columbian world developed a sophisticated, if distinctive, cosmology, in «American Scientist» 67, fasc. 3 (1979), pp. 274-285

Boitani, P., Il grande racconto delle stelle, Società editrice il Mulino, Bologna, 2012

Bricker, H. M., Bricker, V. R., Astronomy in the Maya Codices, American Philosophical Society, Philadelphia, 2011

Brooke-Hitching, E., L’Atlante del Cielo. Le mappe più belle, i miti e le meraviglie dell’universo, tr. it. a cura di V. Gorla, Mondadori, Milano, 2020 

Chambers, D. W., Did the Maya Know the Metonic Cycle?, in «Isis» 56, fasc. 3 (1965), pp. 348-351

Cossard, G., Cieli perduti. Archeoastronomia: le stelle degli antichi, Utet, Torino, 2018

Fuls, A., The Calculation of the Lunar Series on Classic Maya Monuments, in «Ancient Mesoamerica» 18 (2007), pp. 273-282

Hack, M., Domenici, V., Notte di stelle. Le costellazioni fra scienza e mito: le più belle storie scritte nel cielo, Sperling & Kupfer, Milano, 2018

Hack, M., Ferreri, W., Cossard, G., Il lungo racconto dell’origine. I grandi miti e le teorie con cui l’umanità ha spiegato l’Universo, Sperling & Kupfer, Milano, 2018

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