a cura di Anna Maragno
«S’affacciano le stelle, vibranti su diecimila porte»1
Il cielo cinese
La penultima tappa del nostro percorso ci porta in Asia: in questa sede, non potendo addentrarci, per ragioni di sintesi, nei diversi e numerosi apporti allo studio del cielo provenienti da differenti civiltà orientali, ci concentreremo soltanto sulla visione elaborata dagli antichi cinesi. Parleremo della loro astronomia fortemente legata al potere imperiale, del sistema calendariale, degli strumenti utilizzati per scrutare la volta celeste, dei maggiori testi di riferimento, dei modelli cosmologici, dei rituali legati al cielo. Racconteremo, infine, la leggenda che vede protagonista Yutu, il Coniglio della Luna.
Figura 1. Il Drago Azzurro, custode dell’Est. Libera interpretazione del disegno ricavato su una formella.
“Un’astronomia di Stato”
Si perde nei tempi più remoti l’origine dell’interesse del popolo cinese verso la volta celeste; illustri nomi di astronomi punteggiano tutta la storia antica del Celeste Impero, così chiamato in quanto l’imperatore era considerato “Figlio del Cielo”, ossia di stirpe divina. Sima Qian (145 a.C. - 86 a.C.), astronomo e storiografo, informa che, in antico, il mitico Imperatore Giallo era solito fissare personalmente il calendario a partire dall’osservazione e dalla misurazione dei moti dei corpi celesti.
In seguito, tali mansioni furono assegnate a funzionari, o meglio ad un organo statale appositamente istituito: si trattava dell’Ufficio astronomico, probabilmente anteriore alla dinastia Qin (221 a.C. - 206 a.C.). L’Ufficio subì frequenti riorganizzazioni nel corso del tempo e fu suddiviso in quattro specifici gabinetti; gli impiegati si occupavano di osservare i fenomeni celesti (soprattutto i moti apparenti del Sole, della Luna e delle stelle), di realizzare strumenti scientifici, di misurare lo scorrere del tempo, di controllare la correttezza dei calendari e, inoltre, di redigere oroscopi. Pare che gli astronomi di corte attendessero a questi compiti con particolare diligenza: prevedevano infatti turni affinché l’osservazione del cielo fosse costantemente garantita, dì e notte. La tradizione riporta che Liu Xiang, celebre astronomo del I secolo a.C., fosse solito vegliare tutta la notte per scrutare la volta celeste. Sono migliaia le annotazioni di eventi astronomici rintracciabili nelle fonti letterarie cinesi: tra i fenomeni registrati si riconoscono macchie solari, eclissi, stelle novae e supernovae, comete, meteore e meteoriti, moti lunari e planetari. Per apprezzarne la precisione, basti citare il caso dell’astronomo Gan De (IV secolo a.C.) che, quasi due millenni prima di Galileo Galilei, riportò di aver osservato ad occhio nudo uno dei satelliti di Giove (verosimilmente Ganimede o Callisto). Al tempo delle dinastie Qin e Han (ossia fra il II secolo a.C. e il II secolo d.C.) fu istituita la carica di “Grande Astronomo”, posta al vertice dell’Ufficio astronomico; in seguito la posizione più eminente dell’Ufficio fu modificata più di tredici volte. A partire dal II secolo a.C. l’Ufficio si occupò anche dello studio, a scopo divinatorio, dei venti, delle nuvole e dei tuoni, al fine di conoscere le sorti delle personalità più influenti (quali il regnante, la sua famiglia e i maggiori funzionari) e dell’intero Impero. Il sovrano, infatti, era solito ricorrere al consiglio degli astrologi per ricevere pronostici concernenti il proprio regno e, se del caso, mettere in atto i necessari scongiuri. Si informava altresì sui giorni più propizi per gli incontri politici o sociali; in situazioni di guerra, i funzionari erano condotti sul campo di battaglia affinché, attraverso le loro pratiche divinatorie e l’osservazione di fenomeni astronomici e meteorologici, potessero prevedere le mosse del nemico e consigliare adeguatamente i generali.
Il sistema calendariale
Sugli studi astronomici si basava il calendario, uno dei principali simboli dell’autorità imperiale, (considerata, come sappiamo, di origine celeste). La definizione del calendario rientrava, dunque, tra le prerogative imperiali. All’approssimarsi della fine dell’anno in corso, il calendario successivo era redatto a cura degli astronomi, consegnato nelle mani dell’imperatore durante una cerimonia solenne e, infine, presentato ai sudditi da parte del sovrano stesso.
Il calendario conteneva le indicazioni dei mesi e dei giorni, le posizioni del Sole, della Luna e dei cinque pianeti visibili (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno), le durate del dì e della notte, le previsioni di eclissi solari e lunari. Ma non solo: il calendario forniva altresì informazioni giornaliere aggiuntive e consigli utili di vita quotidiana, ad esempio quali erano i giorni più favorevoli per la costruzione di una casa, per il taglio dei capelli, per le visite ai congiunti e agli amici e quali circostanze evitare per non incappare nella sfortuna. Tali notizie erano diffuse al pubblico sottoforma di almanacchi, differenti a seconda delle classi sociali a cui erano rivolti. Con il passare dei secoli, al calendario (dapprima prettamente lunare, poi lunisolare) furono apportati significativi miglioramenti, tali da raggiungere un notevole grado di accuratezza.
Ossi oracolari
Gli antichi cinesi utilizzavano per scopi astronomici anche i così denominati ossi oracolari. Questi ultimi erano porzioni di osso o di guscio di animale (spesso bue o tartaruga) usati per fini divinatori e databili tra il 1.600 a.C. e il III secolo a.C. Gli ossi e i gusci erano limati, lucidati e forati prima di ricevere le iscrizioni. Applicando poi una fonte di calore in corrispondenza dei fori, gli ossi formavano crepe che erano decifrate dagli indovini, ottenendo responsi riguardanti ogni aspetto dell’esistenza umana, gli esiti delle campagne militari o le condizioni meteorologiche. Ma quel che più ci interessa è che, occasionalmente, gli ossi oracolari recano registrazioni di eventi astronomici: è il caso dell’esemplare rappresentato in Figura 2, inciso fra il 1.600 a.C. e il 1.050 a.C., la cui faccia anteriore annuncia l’assenza di sorte avversa per un periodo di dieci giorni e quella posteriore registra un’eclissi lunare.
Figura 2. Osso oracolare che riporta, sul fronte, iscrizioni relative a dieci giorni di fortuna e, sul retro, la registrazione di un’eclissi lunare. Il reperto, catalogato con il numero 1595, rappresenta l’oggetto più antico conservato presso la British Library a Londra.
Lo studio degli ossi oracolari è piuttosto recente. I primi, rinvenuti nel corso del XIX secolo, sono stati in massima parte venduti nei mercati come ossi di drago per essere impiegati (interi o tritati) nella medicina tradizionale cinese. Soltanto alla fine del secolo due studiosi cinesi riconobbero gli antichi caratteri delle incisioni, ma si dovettero attendere decenni per la pubblicazione dei primi studi accademici a riguardo.
Strumenti astronomici
Gli strumenti che gli astronomi cinesi utilizzavano in epoca antica possono essere suddivisi in quattro categorie: gnomoni che misurano l’ombra proiettata dal Sole, “tubi da osservazioni” per l’osservazione dei corpi celesti, apparati per la misurazione del tempo e, infine, globi celesti e sfere armillari per studiare i moti degli astri. Tali dispositivi fecero la loro comparsa nel II secolo a.C. e furono oggetto di raffinamenti in età successiva, almeno sino al X secolo d.C. Descriviamo brevemente le quattro categorie di strumenti.
I primi gnomoni erano, assai probabilmente, costituiti da semplici pali o colonne posti verticalmente sul terreno; in seguito, per la loro realizzazione furono impiegati materiali più nobili, quali la giada o il bronzo. Associati a regoli dotati di scala graduata, gli gnomoni servivano ai cinesi per rilevare le direzioni cardinali, misurare il tempo e determinare la lunghezza dell’ombra del Sole nei diversi giorni dell’anno, così da individuare con precisione, ad esempio, solstizi ed equinozi.
I tubi da osservazioni erano rappresentati da un lungo cilindro rettilineo (inizialmente in bambù), senza dispositivi ottici all’interno. Grazie a questi strumenti era possibile osservare determinati corpi celesti con un buon grado di precisione poiché si escludeva il disturbo di altre vicine sorgenti luminose; si prestavano, naturalmente, anche all’individuazione dei punti cardinali e della Stella polare.
Tra gli strumenti per la misurazione del tempo, la clessidra ad acqua e (in tempi più recenti) l’orologio ad acqua furono impiegati durante le osservazioni del cielo. I due strumenti raggiunsero sempre maggiore accuratezza, fino a limitare l’errore, nel corso di un giorno, prima a 1 o – al massimo – 2 minuti, poi non oltre pochi secondi.
Infine, mentre il globo celeste simulava i moti dei corpi celesti, la sfera armillare era impiegata per determinarne le coordinate astronomiche (le denominazioni dei due strumenti, tuttavia, tendono ad essere impiegate come sinonimiche nei documenti più antichi).
Testi astronomici
Sono numerose le opere composte in età antica contenenti capitoli o sezioni dedicati all’astronomia. Ci limiteremo a citare i titoli principali. Innanzitutto, lo Zhou Li (ossia I riti degli Zhou, compilato durante la dinastia Zhou, ossia fra il XII e il III secolo a.C.), in cui è esposta la gerarchia delle figure di riferimento in campo astronomico: l’imperatore (che, tra le sue attribuzioni, aveva anche quella di determinare i punti cardinali), l’Astronomo imperiale (a cui spettavano le osservazioni quotidiane del cielo), l’Astrologo imperiale (che, scrutando i corpi celesti – soprattutto Giove – effettuava pronostici e, analizzando i colori di cinque differenti tipologie di nubi, prevedeva l’eventuale approssimarsi di siccità o inondazioni), un funzionario addetto allo studio delle eclissi e della meteorologia e un altro incaricato di misurare, con rilevante precisione, lo scorrere del tempo attraverso una clessidra ad acqua.
Lo Shiji (ossia Memorie storiche o Memorie di uno storico, II-I secolo a.C.), la cui stesura fu intrapresa da Sima Tan e poi ultimata dal figlio Sima Qian, entrambi storiografi di corte, contiene un capitolo (il Libro dei funzionari celesti) dedicato all’astronomia. Si elencano circa 90 costellazioni (considerando anche le 28 case lunari) con l’indicazione della loro posizione nel cielo, del numero e della luminosità delle stelle che le compongono. Ne riparleremo fra poco.
Il Libro di Seta (o Divinazione mediante i fenomeni astrologici e meteorologici), manoscritto su seta redatto tra il III e il I secolo a.C., cataloga 29 comete (“stelle con la scopa”) osservate lungo un periodo di 300 anni. Per ognuna, una didascalia ne interpreta l’apparizione in senso astrologico (ad esempio, come segno di un’imminente siccità).
Figura 3. Alcune delle comete catalogate nel Libro di Seta (inchiostro su seta, Hunan Museum, Hunan, Cina).
Nel Lingxian (Costituzione spirituale dell’universo), Zhang Heng (78 d.C. - 139 d.C.) affronta numerose questioni, tra cui le differenti velocità alle quali appaiono muoversi il Sole, la Luna e i pianeti e il fenomeno delle eclissi. Grazie all’impiego della sfera armillare, le sue osservazioni gli permisero di enumerare e denominare oltre 2.500 stelle e 320 costellazioni.
Modelli cosmologici
Secondo gli studiosi, sono tre i principali modelli cosmologici elaborati dall’antico pensiero cinese.
La teoria più risalente (III secolo a.C.) è detta Gai Tian (o della cupola emisferica), secondo la quale il cielo è una cupola emisferica disposta sopra la Terra, anche questa della stessa forma, al cui bordo estremo si trova un oceano che raccoglie tutta l’acqua che scende sotto forma di pioggia.
Il secondo modello, probabilmente comparso nel IV secolo a.C. e poi elaborato dalla scuola di Hun Tian, descrive un universo sferico in cui tutti i corpi celesti ruotano attorno alla Terra (una visione non lontana da alcune concezioni cosmologiche greche, ad esempio quella di Eudosso).
Infine il terzo modello, sviluppato dalla scuola di Xuan Ye (probabilmente tra il I e il II secolo d.C.), concepisce un universo infinito, composto da corpi celesti fluttuanti a grande distanza gli uni dagli altri.
Asterismi, “Palazzi” e “Recinti”: la suddivisione della volta celeste
I cinesi elaborarono un sistema di costellazioni – o, più propriamente, di asterismi – differente da quello occidentale. Non è noto se, anticamente, si siano presentate per gli astronomi cinesi occasioni di confronto con la scienza babilonese, greca o indiana. Ciò che gli studiosi assumono come certo è che il loro approccio scientifico al cielo assunse caratteristiche originali già a partire dal V secolo a.C.
Gli asterismi individuati dai cinesi sono, generalmente, di dimensioni inferiori rispetto alle costellazioni occidentali.
Secondo il già citato Libro dei funzionari celesti, il cielo è suddiviso in cinque Palazzi (Gong). Il Palazzo centrale si colloca attorno al Polo Nord celeste: fungendo da perno attorno al quale ruotano tutte le altre stelle, rappresenta la corte imperiale. Gli altri Palazzi, in numero di quattro, sono situati lungo i punti cardinali sull’eclittica e sono denominati Palazzo dell’Est, del Sud, dell’Ovest e del Nord. A ciascuno corrisponde un particolare animale e una determinata stagione nell’anno: il Drago Azzurro dell’Est (Primavera), l’Uccello Vermiglio del Sud (Estate), la Tigre Bianca dell’Ovest (Autunno) e la Tartaruga Nera del Nord (Inverno). Ogni Palazzo è suddiviso in 7 settori, denominati Xiu o Hsiu (“Case lunari” o “Dimore”). Il numero totale di Case lunari è pari a 28: queste corrispondono alle longitudini lungo l’eclittica che la Luna attraversa, nel corso del mese siderale, ruotando attorno alla Terra. In Giappone e in India erano utilizzate suddivisioni della volta celeste del tutto assimilabili. Il sistema cinese indicava, infine, altre aree dette Tre Recinti: il Recinto della Porpora Proibita (che occupava la zona più settentrionale della volta celeste), il Recinto del Supremo Palazzo e il Recinto del Mercato Celeste.
Oltre ai quattro animali citati, esisteva poi un quinto animale, il Drago Giallo del Centro, legato all’elemento Terra.
Figura 4. La Tigre Bianca, guardiana dell’Ovest. Libera interpretazione del disegno tracciato su una formella.
Nel corso del III millennio a.C. gli astronomi cinesi introdussero un criterio per determinare le stagioni in base all’osservazione delle stelle. Il sorgere di Antares, al crepuscolo dell’orizzonte orientale, annunciava l’arrivo della primavera. Successivamente, quattro stelle furono il punto di riferimento per fissare il momento centrale (o, secondo altri studiosi, l’inizio) di ciascuna delle quattro stagioni; grazie a questo sistema, si determinavano anche i solstizi e gli equinozi. I loro nomi erano Niao (“Uccello”, ossia Alphard, o α Hydrae per la primavera), Huo (“Fuoco”, cioé Antares o α Scorpii per l’estate), Xu (“Vuoto”, corrispondente a Sadalsuud o β Aquarii per l’autunno) e Mao (“Chioma”, vale a dire Elnath o β Tauri per l’inverno).
Una ritualità legata al cielo
Come in Cielo, così in Terra. Secondo gli antichi cinesi, l’universo costituiva un unico organismo: secondo questa credenza, le azioni umane causavano effetti immediati nei fenomeni celesti e, parallelamente, questi erano forieri di notizie che riguardavano la Terra.
Tra i molti racconti mitologici a tema astronomico, ricordiamo la tradizione secondo la quale le eclissi di Luna e di Sole erano causate da un enorme drago che tentava di divorare l’astro (il termine cinese per eclisse, shih, significa appunto “mangiare”). Così, per liberare il corpo celeste dalle fauci dell’animale, i cinesi lo spaventavano con rumori assordanti (suonando tamburi, percuotendo pentole di rame, scoccando frecce in aria e così via).
L’astronomia permeava molteplici aspetti politici e sociali all’interno dello Stato e si esprimeva in una rigorosa ritualità. Nel Liji (Il libro dei riti, di origine e data incerta, ma redatto presumibilmente durante la dinastia Zhou) è descritta la tradizione secondo la quale l’imperatore – rappresentante del cielo sulla terra – soggiorna in una differente zona della sua dimora a seconda della stagione. Secondo una radicata credenza, le quattro stagioni dell’anno sono infatti associate ai punti cardinali (e ad altrettanti geni): la primavera all’Est, l’estate al Sud, l’autunno all’Ovest e l’inverno al Nord. Dunque, alla prima Luna di primavera, l’imperatore abita nella sala a sinistra del Palazzo della Primavera. Egli sale su un carro verde trainato da due cavalli denominati dragoni verdi; distende uno stendardo verde, si veste con abiti dello stesso colore e orna la sua cintura con giada verde. Il verde è dunque il colore collegato alla stagione ed il legno il materiale a cui è associata. Tre giorni prima dell’inizio della primavera, l’intendente alle cerimonie sacre informa l’imperatore, il quale, dopo essersi purificato, alla testa di un corteo formato da ministri, funzionari e feudatari va incontro alla stagione, verso Est, salutandone il genio con offerte. Nella seconda Luna di primavera il sovrano abita nel grande Tempio della primavera, spostandosi nella sala a destra del Palazzo della Primavera con l’avvento della terza Luna. Lo stesso rituale, con identiche modalità, si ripete per le altre stagioni: in estate il colore dominante è il rosso, l’elemento il fuoco, il punto cardinale il Sud e l’imperatore abita il Palazzo della Luce (a sinistra di questo nella prima Luna, all’interno nella seconda, nella sala a destra durante la terza). In autunno (stagione associata al colore bianco e all’elemento metallo), l’imperatore abita il Palazzo della bellezza e della maturità dei frutti (a sinistra di questo nella prima Luna, all’interno nella seconda, nella sala a destra durante la terza). Infine in inverno, a cui è legato il colore nero e l’elemento acqua, l’imperatore abita nel Palazzo Nero.
L’attenzione degli antichi cinesi verso i punti cardinali è provata anche da altri esempi, quali le piante rettangolari delle città di Cheng-Chou e Anyang (entrambe capitali nel corso del II millennio a.C.), esattamente orientate lungo le quattro direzioni. Anche le ricche tombe reali di Anyang, contenenti giade, bronzi e ricchi corredi personali, mostrano, secondo gli studiosi, allineamenti lungo i punti cardinali.
Yutu, il Coniglio della Luna
Concludiamo descrivendo brevemente una creatura appartenente al folklore cinese (ma che si rintraccia anche in quello coreano e in quello giapponese): il coniglio lunare. Probabilmente l’origine di questa figura risiede nella tradizione secondo la quale è possibile riconoscere, negli avvallamenti della faccia illuminata della Luna, l’immagine di un coniglio ritto sulle zampe posteriori, accanto al quale si trova un pestello da cucina. È il protagonista di diverse leggende che lo descrivono come intento a preparare un elisir di lunga vita, in compagnia della dea della Luna Cheng’e (secondo la tradizione cinese), o a pestare il dolce di riso (secondo quelle coreana e giapponese). Tali racconti si ispirano ad un’antica fiaba buddhista, la Śaśajâtaka. Vi si narra che quattro amici, una scimmia, una lontra, uno sciacallo e un coniglio, nel sacro giorno di Uposatha (festività buddhista della carità e della meditazione) decisero di compiere opere di bene. Di lì a poco, incontrarono un anziano viaggiatore visibilmente affamato. I quattro animali si affrettarono a procurargli cibo: la scimmia raccolse frutta dagli alberi, la lontra andò a pescare nel fiume e lo sciacallo tornò con una lucertola ed un vaso di cagliata di latte. Il coniglio, non possedendo particolari abilità, poteva solo raccogliere erba. Ben sapendo che quest’ultima non sarebbe servita come cibo al viandante, si risolse a sacrificare se stesso, gettandosi nel fuoco che l’uomo aveva acceso. L’animale rimase però illeso: il viaggiatore era infatti l’Imperatore di Giada (il sovrano del paradiso) che, commosso dal coraggioso gesto del coniglio, lo salvò e lo innalzò sulla Luna, divenendo così l’immortale Coniglio di Giada, chiamato Yutu. Così, quando gli uomini alzano gli occhi al cielo per guardare la Luna, possono sempre riconoscere il bianco e paffuto Coniglio di Giada, simbolo di pietà e di altruismo.
In onore di tale personaggio della tradizione, l’Agenzia Spaziale Cinese scelse di denominare Yutu il rover che esplorò il Sinus Iridum (la Baia degli Arcobaleni) sulla superficie della Luna, da dicembre 2013 a marzo 2015.
Figura 5. La dea cinese della Luna Chang’e accompagnata dal suo fedele Coniglio di Giada, denominato Yutu.
Note
1. In una notte di primavera nell’ala sinistra del palazzo, in Le Trecento poesie T’ang, a cura di M. Benedikter, Mondadori, Verona, 1972, p. 146.
Fonti delle immagini
Figura 1. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Figura 2. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Figura 3. Public domain, via Wikimedia Commons al link:
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Figura 4. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Figura 5. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Bibliografia e consigli di lettura
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