a cura di Anna Maragno
«Quante stelle navigano verso l’estremità del cielo e al di là durante la notte»1
Il cielo egizio
Mentre le civiltà mesopotamiche affiancavano ad un’attenta osservazione del cielo calcoli raffinati, il popolo che abitava le rive del Nilo si accostava alla volta celeste con un approccio originale, che coniugava le conoscenze astronomiche con le sfumature del mito. Oltre a mettere in luce i caratteri principali della cosmogonia egizia (in primis, il culto del Sole, fulcro dell’intera struttura politico-religiosa), affronteremo aspetti maggiormente “tecnici” quali la creazione di un preciso calendario su base stellare e l’allineamento di celebri piramidi ai quattro punti cardinali. L’interesse dimostrato dagli Egizi verso il cielo seppe spesso tradursi in opere di elevato valore artistico.
Figura 1. Sirio, personificato dalla divinità Sothis nelle sembianze di una mucca (a sinistra), e Orione (a destra) navigano, a bordo di due barche, nel firmamento. Particolare del soffitto astronomico nella sala ipostila esterna presso il Tempio di Hathor (Età tolemaica e romana) a Dendera (Luxor), in Egitto
Una civiltà plurimillenaria
Com’è noto, la storia dell’antico Egitto si sviluppa lungo un arco temporale di oltre tre millenni, tradizionalmente suddiviso dalla storiografia nelle seguenti periodizzazioni: Periodo predinastico (3.900 a.C. - 3.000 a.C.); Antico Regno (3.000 a.C. - 2.150 a.C.); Primo periodo intermedio (2.150 a.C. - 2.040 a.C.); Medio Regno (2.040 a.C. - 1.750 a.C.); Secondo periodo intermedio (1.750 a.C. - 1.540 a.C.), Nuovo Regno (1.540 a.C. - 1.070 a.C.), Epoca tarda (1.070 a.C. - 323 a.C.) ed Età tolemaica (305 a.C. - 30 a.C.). A partire dal 30 a.C., l’Egitto diventa una provincia romana.
Testimonianze archeologiche risalenti all’Antico Regno ci informano che già in quell’epoca arcaica gli Egizi disegnavano mappe stellari e conoscevano numerose costellazioni, oltre ai pianeti Venere, Giove, Saturno e Marte. Gli studiosi si mostrano, invece, più cauti nell’accreditare l’ipotesi che anche Mercurio fosse a loro noto.
Il culto del Sole
Nel corso della millenaria storia dell’antico Egitto, due furono le convinzioni che rimasero ben salde come fondamento del sistema teologico-politico e di quello astronomico. Innanzitutto, gli Egizi riconoscevano nel Sole il principio unitario del cosmo. Tale supremazia, però, lungi dall’essere assicurata in modo definitivo, doveva essere continuamente riconfermata: ogni notte, il Sole percorreva la Duat (l’Oltretomba) e durante il viaggio doveva ingaggiare una strenua lotta contro l’oscurità e le forze del caos per riuscire a sorgere, splendente e vittorioso, nella nuova alba. La seconda convinzione riguardava la figura del faraone. Sovrano politico e religioso per diritto divino, egli era strettamente connesso al dio Ra (dunque, come si dirà tra un momento, al Sole). Il faraone rappresentava il garante dell’ordine cosmico, costantemente rinnovato grazie all’astro diurno.
Presso gli Egizi, il culto del Sole acquisiva, quindi, un significato di assoluta preminenza. Al Sole erano associate differenti divinità a seconda dei momenti del dì. Con il dio Ra si identificava l’astro in corrispondenza del punto più alto del suo arco nel cielo, mentre il Sole del tramonto prendeva il nome del dio Atum. Durante il suo viaggio notturno nell’aldilà, il Sole era identificato con Osiride; infine, il Sole dell’alba era personificato dal dio Kephri.
Figura 2.Inherkhau, caposquadra degli artigiani della tomba reale, si inginocchia, in segno di omaggio, di fronte al disco solare e a due leoni gemelli. Il simbolo centrale è identificabile con il geroglifico Akhet, traducibile come “orizzonte” o “luogo del cielo dove sorge il sole” e associato ai concetti di rigenerazione e di rinascita (si noti, a questo proposito, anche la presenza della croce egizia, notoriamente simbolo di “vita”). I leoni ai due lati sono identificati come Ra nel testo sovrastante, tratto dal Capitolo 17 del Libro dei Morti; rivolti in direzioni opposte, essi rappresentano lo “ieri” e il “domani”. Particolare dell’affresco situato sul muro a nord della seconda camera nella tomba di Inherkhau (TT359). Quest’ultima, databile al Nuovo Regno, è situata nella Necropoli di Tebe (Deir el-Medina), sulla sponda occidentale del Nilo, di fronte a Dendera (Luxor), in Egitto.
Lo smeraldo, la malachite, la turchese delle stelle: la cosmogonia egizia
La centralità del culto del Sole presso gli Egizi non esaurisce i profondi legami di questa civiltà con il cielo, apprezzabili, in particolare, nelle narrazioni concernenti l’origine dell’universo. La complessità della cosmogonia egizia rende impossibile l’enumerazione, in questa sede, di tutti i riferimenti al cielo (e all’astronomia) rintracciabili nelle storie di cui le divinità sono protagoniste. Ci limiteremo, dunque, a segnalare alcuni percorsi, tenendo sempre presente che nell’antico Egitto convivevano diverse tradizioni mitologiche e, quindi, differenti racconti cosmogonici.
Un’originale peculiarità vale a distinguere la mitologia egizia da quelle di altre civiltà. Presso molti popoli, infatti, il Cielo era considerato un’entità maschile e la Terra una femminile, ma presso gli Egizi tale visione risulta capovolta. Secondo la tradizione mitologica di Eliopoli, la divinità uranica è Nut (la Notte), figlia di Shu (l’Aria) e di Tefnut (il Vuoto e l’Umidità), mentre dio della Terra è Geb, fratello e sposo di Nut. I due, inizialmente uniti, furono separati dal loro padre, Shu, che divise in tal modo il Cielo dalla Terra.
La dea del cielo Nut, dal corpo affusolato, reca sul suo dorso le stelle dell’aldilà, verso le quali accompagna le anime dei defunti, e le stelle del cosmo (a noi visibili) sul proprio ventre. Nut è suggestivamente rappresentata con le gambe e le braccia inarcate nelle direzioni dei quattro punti cardinali, nell’atto di proteggere la Terra e gli uomini, separando il cosmo ordinato dal caos. Secondo taluni racconti mitologici, il Sole, durante il dì, si muove lungo il suo corpo; al tramonto viene inghiottito da Nut, per risorgere poi all’alba. Lo stesso fenomeno accade per la Luna e per le stelle (ingoiate dalla dea all’alba). A Nut sono dedicati alcuni versi di un’invocazione compresa tra i Testi delle Piramidi (tradotti da Edda Bresciani):
Dire le parole:
O tu dall’ampio passo,
mentre semini lo smeraldo, la malachite, la turchese delle stelle.
[…]
Figura 3. La dea Nut e il dio Geb in un particolare del Papyrus Mythologique de Tanytamon, ora conservato presso la Bibliothèque Nationale de France (Manuscript Égyptien 172), a Parigi (Francia).
Secondo un’altra tradizione, il Sole attraversa il cielo diurno, da oriente ad occidente, a bordo di una barca rituale dal nome Mandet. Durante la notte, invece, il viaggio del Sole nella Duat avviene su una seconda barca, chiamata Mesketet. Nell’aldilà, il Sole attraversa 12 regioni – corrispondenti alle 12 ore della notte – e, come detto, affronta avverse divinità e mostri. Dopo aver vinto le forze delle tenebre, del caos e del male, personificate dal serpente Apopi (o Apofi), l’astro risorge, all’alba del nuovo giorno, come Sole del mattino.
Figura 4. Rappresentazione della barca solare nel registro superiore di una stele funeraria databile al Nuovo Regno e proveniente da Deir el-Medina, presso Dendera (Luxor), in Egitto. La stele è oggi conservata al Museo Egizio di Torino. Per ulteriori dettagli, si rimanda a questa pagina.
Se al Sole erano associati molteplici significati, è doveroso accennare anche alla speciale (benché meno diffusa e attestata) devozione che gli Egizi riservavano alla Luna. Come il Sole, la Luna (piena o a falce) è raffigurata a bordo di una barca rituale, a simulare il suo viaggio nel cielo (Figura 4).
Calendari, calcoli e strumenti
Come si sa, la civiltà egizia doveva la sua sussistenza alle piene del Nilo. Queste si verificavano regolarmente ogni anno ed erano, per coincidenza, contemporanee alla levata eliaca2 di Sirio in quei territori: gli Egizi associarono i due eventi. Le inondazioni del Nilo e le levate eliache, dunque, scandivano il tempo egizio, che trovava proiezione in un calendario già in uso durante l’Antico Regno. Il riferimento alle piene del fiume è palese, dato che le tre stagioni in cui si suddivideva l’anno erano significativamente denominate Akhet (inondazione), Peret (crescita) e Shemu (raccolto). Le levate eliache di stelle e costellazioni costituivano la base stessa del calendario. Gli Egizi identificarono infatti 36decani, ossia specifiche costellazioni e stelle singole che sorgevano a determinate ore della notte. Ogni 10 giorni, appariva in cielo un nuovo decano: dunque, al raggiungimento di 36 decani si completava un calendario di 360 giorni, a cui era aggiunto un mese intercalare di 5 giorni epagomeni affinché il calendario potesse accordarsi con la durata (approssimata a 365 giorni) di un anno solare. L’introduzione dei giorni epagomeni echeggia anche nel mito, quando si narra di Shu che, separando Nut da Geb, intimò loro di non ricongiungersi nei 360 giorni di cui era composto l’anno. Secondo il racconto, a quel punto era intervenuto Thot, dio della scrittura, della matematica e della misura del tempo, il quale, impietosito dall’amore tra i due, aveva creato per loro i 5 giorni “aggiuntivi” (epagomeni), durante i quali Nut e Geb potevano incontrarsi nuovamente, generando Osiride, Iside, Seft e Nefti. Gli Egizi dedicavano tali giorni – per così dire posti “al di fuori” del calendario – a feste e a celebrazioni in onore delle principali divinità. Secondo alcuni studiosi, questo calendario sarebbe stato utilizzato per scopi amministrativi (come la determinazione delle imposte o il calcolo della durata dei regni); in ambito contadino, invece, sarebbe stato diffuso un altro (ipotetico) calendario a base lunare, sull’esistenza del quale, però, gli esperti non sono concordi. In merito ai decani, soltanto pochi dettagli (ad esempio, i nomi) sono finora conosciuti, mentre molti altri restano oscuri: non si conosce con esattezza a quali costellazioni o a quali stelle si riferissero, né la loro luminosità e posizione.
Sulla base della natura dei documenti e dei reperti rinvenuti sino ad oggi, è pressoché impossibile ricostruire nel dettaglio le conoscenze astronomiche degli Egizi. È tuttavia verosimile che queste non fossero paragonabili a quelle – a quanto ne sappiamo, assai più sviluppate – dei popoli mesopotamici3. Nonostante ciò, la divisione dell’anno in 365 giorni e quella della notte in 12 ore costituiscono lasciti di grande rilevanza della cultura egizia alle civiltà successive.
Ci sono pervenute altresì importanti testimonianze di pratiche di osservazione e registrazione dei moti delle stelle. Ne sono un esempio due differenti tipologie di orologi stellari, ossia una sorta di “tavole stellari diagonali”, dall’aspetto di tabelle. Negli orologi stellari sono disposti i 36 decani, utilizzati per scandire le 12 ore della notte nel corso dell’anno, in base al momento del loro sorgere nel cielo.
Sono noti, inoltre, anche alcuni orologi solari e ad acqua.
Stelle, punti cardinali e piramidi
Secondo numerosi studi in materia, gli Egizi erano in grado di stabilire con precisione la direzione Nord-Sud grazie allo strumento denominato merkhet (di cui si è parlato nel percorso «Horas doceo. Storia della misurazione del tempo»). Tale competenza doveva rivelarsi essenziale in occasione della progettazione e successiva costruzione delle piramidi e di altri edifici religiosi. Portiamo come esempio l’orientazione delle piramidi più celebri. La piramide a gradoni di Djoser (o Zoser), eretta nel XXVII secolo a.C., presenta una base quadrata i cui vertici sono diretti ai quattro punti cardinali.
Figura 5. La piramide a gradoni di Djoser (o Zoser), nella necropoli di Saqqara, a circa 30 km a sud de Il Cairo (Egitto).
La piramide di Cheope (XXVI secolo a.C.) è rivolta ai punti cardinali con una precisione angolare prossima al decimo di grado. Due condotti che collegano la Camera del Re (all’interno della piramide) con l’esterno, mostrano, inoltre, orientamenti stellari: uno a Thuban, la stella più luminosa della costellazione del Dragone (quasi una “stella polare” dell’epoca), l’altra alla cintura di Orione. Il punto cardinale del Nord indicava inoltre, per gli Egizi, la “porta dell’aldilà”. Le stelle circumpolari Kochab (dell’Orsa Minore) e Mizar (dell’Orsa Maggiore) parevano ruotarvi attorno, quasi tracciando, simbolicamente, tale apertura, ed erano soprannominate “gli indistruttibili” o “coloro che non conoscono distruzione”.
Gli Egizi riservarono, dunque, un ruolo di primo piano al cielo notturno e ai corpi celesti, sia associandoli a divinità e a simboli di valore sacrale, sia fondando il proprio calendario su una raffinata e complessa base stellare. Tuttavia, ad oggi non è noto a quale livello di elaborazione essi siano stati capaci di elevare le loro osservazioni astronomiche. Permane, di conseguenza, l’interrogativo circa la conoscenza scientifica dei moti celesti e degli altri fenomeni. Qual che appare sicuro è, invece, il mutamento avvenuto durante l’Età tolemaica (304 a.C. - 30 a.C.), quando ebbe luogo l’incontro con l’astronomia babilonese (di cui abbiamo parlato nello scorso mese) e con quella greca (di cui ci occuperemo a partire dalla prossima tappa). Dalla fusione di questi sistemi poté sorgere l’astronomia ellenica, come vedremo principalmente studiata e insegnata nella città di Alessandria d’Egitto.
Tre tesori egizi
Contemporanee al disco di Nebra e al carro solare di Trundholm, gioielli dell’Età del Bronzo in Europa4, sono fortunatamente sopravvissute alcune straordinarie testimonianze dello sviluppo dell’astronomia presso la civiltà egizia. Tra queste, ci basti riportare tre esempi.
Il primo è costituito dal “soffitto astronomico” nella tomba di Senenmut, architetto della regina Hatshepsut (XVI - XV secolo a.C.). Il soffitto appare suddiviso in due aree: una superiore, recante immagini di costellazioni, stelle e pianeti, e una inferiore, dedicata a raffigurazioni delle stagioni e dei 12 mesi dell’anno5.
Degno di nota anche il soffitto a volta della camera funeraria della tomba del faraone Seti I (XIV - XIII secolo a.C.), in cui astri e costellazioni sono rappresentati in forma di animali o di figure antropomorfe.
Figura 6. Dettaglio del soffitto astronomico nella camera funeraria della tomba di Seti I, situata presso la Valle dei Re, a Tebe (Luxor) in Egitto.
Infine, di particolare importanza è lo “Zodiaco di Dendera”. Proveniente dal Tempio di Hathor, a Dendera, e precisamente dal soffitto del pronao della Cappella di Osiride, si tratta di un disco bronzeo di diametro pari a un metro e mezzo. Il disco appare sorretto dai quattro pilastri del cielo – indicanti i punti cardinali – nella forma di divinità femminili, alternate a quattro coppie di geni dalla testa di falco. Lo Zodiaco di Dendera costituisce una vera e propria mappa stellare completa del cielo egizio, in cui trovano spazio le 12 costellazioni dello zodiaco, i decani e i pianeti. Il cerchio esterno del disco raffigura infatti 36 spiriti che rappresentano i decani; quello interno ospita i pianeti, la Luna, Sirio, Orione e i 12 segni zodiacali. Tra questi, alcuni – quali Ariete, Toro, Scorpione e Capricorno – sono riconoscibili nella veste a noi nota (di origine greco-babilonese), mentre altri rispondono all’iconografia egizia (ad esempio, Acquario è simboleggiato dal dio Api).
Figura 7. Lo Zodiaco di Dendera, oggi conservato presso il Musée du Louvre, a Parigi (Francia).
***
La civiltà egizia produsse fulgidi esempi di poesia a carattere religioso, cosmico e astrologico. Riportiamo un augurio rivolto al faraone Pepi (2.300 a.C.) affinché compisse con successo il viaggio che, dopo la morte, doveva condurlo tra le stelle e in mezzo agli dèi. Sono citati le “Vie degli Archi” e il “Canale delle Curve”, la prima corrispondente alla volta celeste, il secondo ad un canale da attraversare per giungere nell’aldilà. Sono inoltre menzionati “il Verdissimo”, ossia il mare, e la Dat, personificazione dell’area del cielo dove si trova il crepuscolo.
Ti sono sgomberate le Vie degli Archi che portan su a Horo.
Il cuore di Seth è fraterno verso di te, come il Grande di Eliopoli.
Tu traversi il Canale delle Curve nel Settentrione del cielo,
come una stella che naviga sul Verdissimo che è sotto il ventre di Nut.
La Dat ti conduce per mano al luogo dove è Orione
dopo che il Toro del Cielo ti ha dato la sua mano6.
Testi e disegni originali di Anna Maragno. Non riprodurre senza autorizzazione.
Note
1. E. Bresciani (a cura di), Testi religiosi dell’antico Egitto, Mondadori, Milano, p. 70.
2. Di questo concetto abbiamo dato una definizione nell’articolo "Il cielo neolitico in Europa II: Germania e Italia".
3. Di cui ci siamo occupati nella tappa precedente del nostro viaggio fra i cieli antichi.
4. Si veda "Il cielo neolitico in Europa II: Germania e Italia".
5. Per altri dettagli sul punto, si rimanda al nostro percorso «Horas doceo. Storia della misurazione del tempo».
6. Il testo tradotto della preghiera è tratto da S. Donadoni (a cura di), Testi religiosi egizi, UTET, Torino, 1970, pp. 130-131.
Fonti delle immagini
Figura 1. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Figura 2. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Figura 3. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Figura 4. Disegno originale di Anna Maragno, non riprodurre senza autorizzazione.
Figura 5. Olaf Tausch, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons al link https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Sakkara_01.jpg
Figura 6. Jean-Pierre Dalbéra, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons al link https://commons.wikimedia.org/wiki/File:La_tombe_de_Sethi_1er_(KV.17)_(Vall%C3%A9e_des_Rois,_Th%C3%A8bes_ouest)_-5.jpg
Figura 7. Public Domain, Wikimedia Commons al link https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dendera_zodiac,_Louvre.jpg
Bibliografia e consigli di lettura
Bersanelli, M., Il grande spettacolo del cielo. Otto visioni dell’universo dall’antichità ai nostri giorni, Sperling & Kupfer, Milano, 2018
Boitani, P., Il grande racconto delle stelle, Società editrice il Mulino, Bologna, 2012
Bresciani, E., Letteratura e poesia dell’antico Egitto. Cultura e società attraverso i testi, Einaudi, Torino, 2020
Brooke-Hitching, E., L’Atlante del Cielo. Le mappe più belle, i miti e le meraviglie dell’universo, tr. it. a cura di V. Gorla, Mondadori, Milano, 2020
Cossard, G., Cieli perduti. Archeoastronomia: le stelle degli antichi, Utet, Torino, 2018
de Rachewiltz, B., I miti egizi, Longanesi, Milano, 2018
Donadoni, S. (a cura di), Testi religiosi egizi, UTET, Torino, 1970
Erman, A., Il mondo del Nilo. Civiltà e religione dell’antico Egitto, Laterza, Bari, 1982
Franci, M., Astronomia egizia. Introduzione alle conoscenze astronomiche dell’antico Egitto, EDARC, Bagno a Ripoli, 2010
Gardiner, A., La civiltà egizia, Einaudi, Torino, 2018
Hack, M., Ferreri, W., Cossard, G., Il lungo racconto dell’origine. I grandi miti e le teorie con cui l’umanità ha spiegato l’Universo, Sperling & Kupfer, Milano, 2018
Leopardi, G., Storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXIII, con uno scritto di A. Massarenti e un’appendice di L. Zampieri, BookTime, Milano, 2008
Lockyer, J. N., The Dawn of Astronomy. A Study of the Temple-Worship and Mythology of the Ancient Egyptians, Cassel and Company, London, Paris et al., 1894
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von Bormhard, A.-S., Décans égyptiens, Université Paul-Valéry, Montpellier, 2019
von Bormhard, A.-S., Le calendrier égyptien. Une œuvre d’éternité, Periplus, Londres, 1999