a cura di Anna Maragno

«… prima che gennaio tutto si sverni»

I calendari e i loro errori

Nel mese di gennaio approfondiremo come l’uomo, divenuto consapevole del fluire del tempo, compì i primi tentativi per misurarlo. Sulla base delle fasi lunari e del moto apparente del Sole nel cielo, furono realizzati i più antichi calendari. Vedremo come questi ultimi acquisirono sempre maggiore precisione con il passare dei secoli.

calendar stone

Figura1. Molte pietre del tumulo di Knowth, presso Newgrange, in Irlanda, recano scolpiti soli, lunette e linee ondulate. Le lunette potrebbero indicare cicli lunari completi, le linee ondulate un tentativo di accordare le lunazioni con un anno solare. Databili approssimativamente al 3700 a.C. - 3500 a.C., le incisioni su alcune di queste pietre potrebbero rappresentare i più antichi calendari lunisolari a noi noti.

Per ulteriori informazioni: M. Brennan, The Stars and the Stones. Ancient Art and Astronomy in Ireland, Thames and Hudson, London, 1983, pp.135-178.

Credits: Allie_Caulfield, CC BY 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/2.0>, via Wikimedia Commons
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:2019-06-07_06-22_Irland_137_Br%C3%BA_na_B%C3%B3inne,_Knowth,_Megalithic_Tombs.jpg

Fluire

Nelle ere più antiche, l’attenzione dell’uomo fu dapprima catturata dagli effetti dello scorrere del tempo: la vita e la morte, la primavera e l’inverno, la semina e il raccolto. La riflessione si concentrò poi sul fatto che alcuni eventi fossero già trascorsi (passato), altri stessero accadendo nel presente, e altri dovessero ancora verificarsi (futuro). Alla progressiva coscienza del fluire di tale ineffabile entità di cui erano visibili solo gli esiti del suo passaggio, si accompagnò la volontà di determinarne i ritmi – in altre parole, di misurare il tempo.

Furono gli astronomi (che, all’epoca, ricoprivano spesso anche la carica di sacerdoti) ad abbozzare i primi tentativi di misura, basandosi principalmente sull’osservazione del cielo, del moto apparente delle stelle e dell’avvicendarsi delle stagioni.

Successivamente, quando anche gli eventi umani divennero punti di riferimento per la misurazione del tempo, iniziarono ad occuparsi di questo studio anche annalisti e cronisti. Pensiamo, ad esempio, al computo degli anni per Olimpiadi, introdotto in Grecia, nel periodo ellenistico, da Timeo di Tauromenio (350 a.C. - 260 a.C.). Tale sistema datava gli avvenimenti prendendo come riferimento cronologico gli anni in cui si svolgevano le Olimpiadi. 

Per i Romani, un metodo adottato sin dalla fine dell’epoca repubblicana e conosciuto con la formula ab Urbe condita, consisteva, invece, nel contare gli anni partendo dalla fondazione di Roma (secondo la tradizione, nel 753 a.C.). Nel Martirologio Romano si data infatti la nascita di Gesù «all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade; nell’anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma».

Come misurare?

L'uomo, osservando l’alternanza di periodi di luce (dì) e di tenebre (notte), le quattro fasi del ciclo lunare (novilunio, primo quarto, plenilunio e ultimo quarto) e il ritorno del Sole alla stessa posizione vista dalla Terra, individuò in questi tre fenomeni, di cui era testimone diretto, le prime unità di misura del tempo. Queste erano, dunque, rispettivamente: il giorno, la lunazione e l’anno solare

Del concetto di giorno, data la sua importanza, ci occuperemo a parte, nel mese di febbraio.  In questa sede volgiamo, invece, lo sguardo alle altre due unità di misura del tempo: la lunazione e l’anno solare.

Durata delle lunazioni 

Oggi con lunazione (o mese sinodico) si intende, in generale, l’intervallo di tempo intercorrente tra due identiche, e successive, fasi lunari. Più precisamente, il mese sinodico è calcolato da un novilunio a quello successivo. 

Il moto lunare è soggetto a lievi, ma complesse, perturbazioni, causate dall’ellitticità delle orbite della Terra e della Luna e degli effetti dell’attrazione gravitazionale degli altri corpi celesti sul loro moto. A causa di dette perturbazioni, la durata reale della lunazione è variabile: minima in occasione del solstizio d’estate, con una durata di 29 giorni, 6 ore, 28 minuti e 48 secondi (vale a dire 29,27 giorni) e massima nelle vicinanze del solstizio d’inverno, con una durata di 29 giorni, 20 ore, 9 minuti e 36 secondi (ossia 29,84 giorni). Ne consegue che il periodo medio di una lunazione equivale a 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 2,8 secondi (ovvero 29,53 giorni).

L’anno lunare comprende 12 mesi lunari, cioè 12 lunazioni, con un periodo medio di 354 giorni, 8 ore, 48 minuti e 36 secondi. 

disco nebraFigura 2.  Il disco di Nebra, rinvenuto nel 1999 presso Nebra, in Germania. È considerato la più antica rappresentazione del cielo, con le stelle, con le Pleiadi (il gruppo di sette placche ravvicinate), con la falce di Luna e con la Luna piena (o, secondo altre interpretazioni, il Sole).

Credits: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Nebra_Scheibe.jpg

Lunazioni e anno solare: una difficile convivenza

È detto anno solare il tempo impiegato dal Sole per ritornare nella medesima posizione osservata dalla Terra, in corrispondenza con i cicli delle stagioni, impiegando 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi.

Come abbiamo appena precisato, un anno lunare è rappresentato da un periodo medio di 354 giorni, 8 ore, 48 minuti e 36 secondi. Un anno di 12 lunazioni è composto, quindi, da 11 giorni in meno rispetto ad un anno solare. Ciò significa che ogni anno lunare anticipa il corrispondente solare, cioè inizia 11 giorni prima. In 2 anni, l’anticipo sarà di 22 giorni; in 3 anni, di 33. E così via. Anno solare dopo anno solare, l’accumulo di tale anticipo provoca un significativo arretramento dell’inizio dell’anno lunare rispetto a quello solare. L’anno lunare torna in accordo con l’anno solare dopo 33 anni.

È assai probabile che i più antichi calendari fossero impostati unicamente sui moti lunari: questi ultimi regolavano le attività umane che garantivano la sopravvivenza e la base di ogni civiltà, ossia l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. Ma un calendario basato esclusivamente sull’anno lunare non poteva bastare: era necessario che il ritorno periodico delle stagioni, legate all’anno solare, fosse fissato in modo preciso ed esatto.

Come giungere, allora, ad una misurazione dell’anno in cui potessero accordarsi lunazioni e moto apparente del Sole? Come correggere lo scarto di 11 giorni? Con un calendario lunisolare! Vediamone alcuni tra gli esempi più rilevanti.

 Gli Egizi (3900 a.C. - 30 a.C.)

Lungo il Nilo si stimava la durata di un anno solare in 365 giorni, divisi in 12 mesi di 30 giorni ciascuno. Questa suddivisione portava a un numero totale di giorni pari a 360: occorreva quindi introdurre nel calendario 5 giorni aggiuntivi, detti epagomeni

Tuttavia, la soluzione di una durata fissa di un anno a 365 giorni non si accordava né con il ciclo delle piene del Nilo, né con i solstizi. L’errore era di un giorno ogni 4 anni, ma la civiltà egizia non pervenne a un vero superamento del problema. Un sistema simile a quello egizio fu adottato anche dall’Impero Sasanide (224 d.C. - 651 d.C.), che inseriva un mese aggiuntivo ogni 120 anni per accordarlo al moto apparente del Sole. 

calendario2 Figura 3. Dettaglio della parte inferiore del soffitto della tomba di Senenmut, alto ufficiale egizio, a Deir el-Bahri, databile al 1479-1458 a.C. I dodici cerchi rappresentano i mesi dell’anno, con il loro nome accanto, e sono divisi in ventiquattro settori, probabilmente ad indicare le ore, ma le interpretazioni degli studiosi non sono ancora concordi. Attorno sono rappresentate varie costellazioni.

Credits: https://images.metmuseum.org/CRDImages/eg/original/DT207429.jpg

I Babilonesi (1894 a.C. - 539 a.C.)

Per far sì che il calendario lunare di 354 giorni si accordasse con l’anno solare e, quindi, con le stagioni, essi scelsero la soluzione di inserire (intercalare), ogni 3 anni lunari, un tredicesimo mese. Solitamente, questa aggiunta si collocava in coincidenza delle levate eliache di alcune stelle (ovvero, del sorgere di queste ultime all’orizzonte esattamente all’alba, come il Sole) e ponendo sempre attenzione ai cicli vegetativi. Col trascorrere del tempo, il metodo si rivelò però insoddisfacente: non era raro trovare anni di 14 mesi o 2 anni consecutivi di 13 mesi. Per risolvere la questione, a partire dal IV secolo a.C., i Babilonesi introdussero un ciclo secondo il quale 235 lunazioni corrispondevano a 19 anni solari. L’adozione di tale ciclo permise di aggiungere un mese intercalare in maniera sistematica. Il ciclo fu chiamato ciclo di Metone quando l’astronomo ateniese Metone pervenne, in modo indipendente, alla medesima scoperta nel 432 a.C. Quindi, ogni 19 anni, i Babilonesi aggiungevano un ulteriore Ululu (sesto mese dell’anno) o un Addaru (dodicesimo mese dell’anno).

I Greci (VIII secolo a.C. - 146 a.C.)

Le città greche adottarono dapprima un sistema ideato da Solone nel VI secolo a.C., in cui si alternavano mesi di 29 o 30 giorni nel corso di un anno lunare di 354 giorni. Ad anni alternati, si aggiungeva un mese di 30 giorni. Furono poi progettati diversi cicli, tra cui il già citato ciclo di Metone, simile al babilonese. Questo fu ulteriormente perfezionato dai calcoli di Callippo di Cizico (370 a.C. - 300 a.C.). Stimando la durata dell’anno solare in 365 giorni e 6 ore, egli fece corrispondere 76 anni solari con 940 lunazioni. Si ottenne, così, un calendario in accordo con il Sole, ma che ritardava di circa 5 ore rispetto alla Luna. Ipparco di Nicea (200 a.C. - 120 a.C.) corresse il risultato di Callippo relativo alla durata dell’anno solare, fissandola a 365 giorni, 5 ore, 55 minuti e 12 secondi. Questo ritocco rendeva necessario aggiungere un giorno ogni 304 anni. Si deve sottolineare che l’anno solare medio determinato da Ipparco rappresenta una misura molto precisa: supera di soli 6 minuti circa il valore oggi stabilito. Tuttavia, le correzioni di Callippo e Ipparco non entrarono nell’uso corrente e rimasero raffinate elucubrazioni astronomiche. Nella realtà quotidiana, i Greci si accontentavano, infatti, di intercalazioni approssimative e per giunta ogni πόλις (polis) adottava un proprio calendario.

Anche i Macedoni facevano uso di un calendario lunisolare, ottenendo la coincidenza forse ogni 2 anni.

 I Romani (VIII secolo a.C. - 476 d.C.)

Il primo calendario è probabilmente databile all’VIII secolo a.C., all’epoca della fondazione dell’urbs, e contava 10 mesi di 30 o 31 giorni, con l’aggiunta di un intervallo intercalare, forse di origine etrusca, per concordare il computo con il ciclo delle stagioni, e quindi con il Sole. 

Il successivo calendario di Numa Pompilio si basava, invece, su 12 mesi: 7 di 29 giorni, 4 di 31 e 1 di 28. Il calendario era sincronizzato con il Sole attraverso intercalazioni. Si inseriva, infatti, un tredicesimo mese, chiamato Mercedonius, di 23 giorni tra il 24 e il 25 febbraio, o di 22 giorni tra il 23 e il 24 febbraio, ogni 2 anni. 

Il calendario giuliano, ideato da Sosigene da Alessandria (I secolo a.C.), fu introdotto da Giulio Cesare, pontifex maximus nel 47 a.C., per correggere le sempre maggiori discrepanze che si stavano creando tra anno solare e anno lunare. Secondo il racconto della tradizione, Sosigene, basandosi sui calcoli callippici, si accorse della necessità di introdurre anni bisestili ogni 4 anni. Il risultato fu un anno di 12 mesi, composti da 31 giorni per i mesi alternati di gennaio, marzo, maggio, quintile, settembre, novembre; da 30 giorni, ancora a mesi alternati, per aprile, giugno, sestile, ottobre, dicembre, e da un febbraio di 29 giorni, portato a 30 negli anni bisestili. 

Il 46 a.C. venne ribattezzato come l’anno di confusione, in quanto il passaggio dal vecchio al nuovo sistema rendeva necessarie altre numerose, e complicate, aggiunte di giorni. Il primo anno del nuovo calendario fu, dunque, il 45 a.C.; un anno dopo, il mese quintile fu ribattezzato Iulius, in onore di Cesare. Nel 27 a.C., il Senato approvò l’intitolazione di Augustus al mese di sestile, per celebrare Ottaviano Augusto, e aggiustò il numero dei giorni, per ogni mese, alla sequenza valida tuttora, con 28 giorni a febbraio (29 negli anni bisestili). Infine, Augusto stabilì la cadenza quadriennale degli anni bisestili già calcolata da Sosigene: correva l’anno 8 d.C.

Ma gli errori non erano ancora stati interamente risolti. Infatti, il calendario giuliano, basandosi su un valore della durata di un anno solare di 365 giorni e 6 ore, inseriva, come si è detto, un anno bisestile ogni 4 anni solari. Tuttavia, la durata reale di un anno solare è inferiore al valore di 365 giorni e 6 ore di circa 11 minuti e 14 secondi. Il calendario giuliano riportava quindi un ritardo di 1 giorno ogni 128 anni, rispetto alla durata reale dell’anno solare, e tale scarto iniziò ad accumularsi nel corso dei secoli. Ai tempi del concilio di Nicea (325 d.C.), l’equinozio di primavera non cadde più il 25 marzo, ma regredì al 21, giungendo all’11 dello stesso mese nell’anno 1582. Dante Alighieri accenna al problema nella Divina Commedia [1] .

Tale errore aveva effetto sulla data della Pasqua, tradizionalmente fissata alla domenica successiva al primo plenilunio di primavera, e sulle altre festività mobili (ad esempio, la Quaresima e la Pentecoste).

Come risolvere il problema?

Il calendario gregoriano 

Il papa Gregorio XIII, su progetto dello scienziato Luigi Lilio, agì con forza: in base alla riforma, da lui promulgata nel 1582, si cancellarono i giorni dal 5 al 14 ottobre 1582 compresi. Iniziarono a essere considerati bisestili solo:

  • gli anni secolari (cioè quelli che stabiliscono la fine di un secolo) divisibili per 400, ad esempio il 1600 o il 2000 (ma non il 1700 o il 1800);
  • gli anni non secolari divisibili per 4. 

Tale importante riforma non fu subito accettata dagli altri Stati. Fra le ultime nazioni ad adottare il calendario gregoriano si ricordano – più di 300 anni dopo – la Russia sovietica (dal 1 gennaio 1918) e la Grecia (dal 1 marzo 1923). Il calendario gregoriano è ora in uso presso la gran parte delle nazioni del mondo.

decreto

 

Figura 4. Parte del decreto proclamante l’adozione del calendario gregoriano nella Russia sovietica, così come fu pubblicato nella Pravda, l’organo di stampa ufficiale del Partito Comunista dell’URSS, il 25 gennaio 1918 secondo il calendario giuliano, o il 7 febbraio 1918 secondo il gregoriano. Vi si legge la firma di V. Ulyanov (Lenin) [В. Ульяновъ (Ленинъ)]. 

Credits: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e8/Sovnarkom-Gregorian-Calendar-Decree-izo39.jpg

 

Al giorno d’oggi, il calendario islamico è basato unicamente sul moto della Luna, mentre il calendario ebraico è di tipo lunisolare.

Troviamo ancora segni del calendario giuliano, e di quei 10 giorni dell’ottobre 1582 cancellati dalla storia, nel proverbio «Santa Lucia, la notte più lunga che ci sia», diffusosi sicuramente prima della riforma gregoriana. Santa Lucia, cadendo il 13 dicembre, non coincide oggi con il solstizio d’inverno (e, quindi, con la notte più lunga dell’anno), ma lo anticipa di 10 giorni. Sono proprio quei 10 giorni cancellati da papa Gregorio XIII.



Note

1. Par., Canto XXVII, vv. 142-143:

Ma prima che gennaio tutto si sverni

Per la centesma parte ch’è là giù negletta

Ossia: prima che il mese di gennaio diventi un mese primaverile (si sverni), per l’accumularsi di quella centesima parte di giorno (che diventa un giorno completo ogni 128 anni) che è trascurata (è negletta) nel calendario della Terra (là giù), vale a dire il giuliano. Il problema del calendario giuliano era ben conosciuto dagli scienziati medievali ed essi sapevano che quell’errore di 11 minuti e 14 secondi avrebbe finito per causare, dopo molti secoli, l’arretramento dell’equinozio di primavera alla fine di dicembre, svernando completamente il mese di gennaio.  I due versetti si collocano in chiusa al Canto, all’interno di un passo profetico di Beatrice in cui si afferma la speranza di un intervento divino capace di portare l’umanità sulla retta via, che si verificherà in un tempo futuro e lontano (ma prima che gennaio sverni del tutto).



Bibliografia

Hannah, R., Greek & Roman Calendars. Constructions of Time in the Classical World, Bloomsbury, London, New York, 2005

Richmond, B., Time Measurement and Calendar Construction, Brill, Leiden, 1956

Rüpke, J., Kalender und Öffentlichkeit. Die Geschichte der Repräsentation und religiösen Qualifikation von Zeit in Rom, de Gruyter, Berlin, 1995

Stern, S., Calendars in Antiquity. Empires, States & Societies, Oxford University Press, Oxford, 2012

Thurston, H., Early Astronomy, Springer, New York, 1994