a cura di Anna Maragno

«… dal tuo quadrante colmo,
ove girano i numeri del Tempo»

Gnomoni, meridiane, merkhet e altri strumenti dell’antichità 

Nei mesi scorsi abbiamo trattato le unità di misura del tempo, dall’antichità sino ad oggi, ossia l’anno, il mese, la settimana, il giorno, le ore, i minuti e i secondi. Completato tale excursus, è giunto il momento di focalizzarci sugli strumenti di misura del tempo. Inizieremo dai più antichi: gnomoni, meridiane, orologi solari e merkhet.

Hemicyclium di epoca romana

Figura 1. Un Hemicyclium di epoca romana, tipologia di orologio solare con quadrante curvo, situato presso l’entrata nord dell’antica città di Timgad (lat. Thamugadi), fondata dall’imperatore Traiano nel 100 d.C. nell’attuale Algeria.

Credits: Hamza-sia, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Romaine_Solar_heures.jpg

Gnomoni, meridiane e orologi solari

La meridiana, chiamata più propriamente meridiana solare, può essere considerata lo strumento più antico per la misurazione del tempo. È costituita da un’asta, detta gnomone (dal greco γνώμων, dal tema di γιγνώσκω, "conosco"), poggiata perpendicolarmente su una superficie. Quando i raggi del Sole colpiscono direttamente lo gnomone, questo proietta la sua ombra sulla superficie, detta quadrante, solitamente dotata di una scala graduata per la sola misura del mezzogiorno durante il corso dell’anno. La scala graduata è necessaria in quanto la lunghezza e la direzione dell’ombra dello gnomone variano, nel corso dell’anno, a causa della variabilità della declinazione solare, ovvero dell’altezza del Sole nel cielo, nei diversi mesi, rispetto all’orizzonte di un dato luogo. Com’è noto, la declinazione solare è minima al solstizio d’inverno e massima al solstizio d’estate.
Giova precisare che la meridiana indica soltanto il mezzogiorno, durante tutto l’anno. La meridiana non deve, quindi, essere confusa con gli orologi solari, collocati sia in posizione orizzontale, parallelamente al suolo, sia in posizione verticale, ad esempio sulle facciate di edifici o di chiese. L’orologio solare è, come la meridiana, composto da uno gnomone che proietta la propria ombra su un quadrante. Ma, a differenza di quanto avviene per la meridiana, l’ombra dello gnomone, in un orologio solare, rappresenta una sorta di lancetta: questa, infatti, segna non solo il mezzogiorno, ma le diverse ore del giorno, indicate sulla superficie del quadrante. Il moto apparente diurno del Sole nel cielo fa sì che l’ombra, spostandosi, percorra il quadrante segnando le ore del dì. 

Spesso, nel linguaggio comune, si utilizza il termine “meridiana” per indicare impropriamente anche gli orologi solari.
Il limite di questi strumenti è evidente: sono inservibili nei giorni con cielo nuvoloso, o durante la notte.
Non possiamo qui soffermarci a elencare i molti orologi solari di età antica, alcuni di essi così singolari e misteriosi da essere, tutt’oggi, oggetto di studio (citiamo, come esempio, il Plinto di Euporus ad Aquileia, la cui costruzione e il cui funzionamento rimangono ancora, in gran parte, oscuri). Conobbero grande diffusione, nel mondo antico, anche orologi solari con quadrante curvo. Possiamo citare lo scaphen, forse conosciuto già dai Babilonesi, una sorta di semisfera cava al centro della quale era collocato lo gnomone (probabilmente denominato polos), e ancora l’hemisphaerium e l’hemicyclium, ampiamente utilizzati nel mondo romano, i cui quadranti, oltre a segnare le ore del giorno, riportavano spesso anche le date dei solstizi.

Figura 2

Figura 2. Orologio solare posto su un muro esterno del Municipio di Danzica, in Polonia.

Credits: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Gdansk_Ratusz_GM_zegar_sloneczny_1.jpg


Un obelisco come gnomone

Gli studiosi sono concordi nell’ipotizzare che tutte le grandi civiltà antiche siano giunte, indipendentemente le une dalle altre, alla realizzazione di uno gnomone (collocato su una meridiana o su un orologio solare) come primo strumento di misura del tempo.  
Se ne servivano già i Babilonesi e gli antichi Cinesi; inoltre, fonti risalenti all’epoca della conquista spagnola delle Americhe riportano l’utilizzo di uno strumento simile da parte dei popoli precolombiani. 

Anche i Greci ne conoscevano l’impiego, sebbene le notizie sulla sua introduzione non siano concordi. Il filosofo Anassimandro (610 a.C. - 546 a.C.) avrebbe costruito il primo gnomone, ponendolo a Sparta come stilo di un orologio solare: così riporta Diogene Laerzio (180 d.C. - 240 d.C.) nelle Vite dei Filosofi (II, 1-2), ricavando tale informazione dalla Storia Varia di Favorino di Arles (80 d.C. - 160 d.C.). Più plausibilmente, come testimonia Erodoto (V secolo a.C.) nelle sue Storie (II, 109, 3), i Greci appresero l’impiego dello gnomone dai Babilonesi. 

Figura 3

Figura 3. Gnomone dell’Horologium Augusti, oggi obelisco di Montecitorio, a Roma.

Credits: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/8a/Obelisco_di_Montecitorio_Roma_%285251330758%29.jpg

Nell’antico Egitto, diversi obelischi erano stati eretti con lo scopo di segnare il tempo come monumentali gnomoni di orologi solari. Alcuni di questi obelischi furono trasportati a Roma in epoca imperiale e collocati al centro di alcune piazze della Capitale, mantenendone la funzione di gnomone e acquistando anche quella di esotico ornamento.  
Possiamo citare, come esempio, l’obelisco in granito rosso costruito ai tempi del faraone Psammetico II (595 a.C. - 589 a.C.), collocato originariamente nella città di Eliopoli, in Egitto, e successivamente trasferito a Roma nel 10 a.C. per decisione di Augusto. Alto 30 metri, fu posto nel Campo Marzio come gnomone dell’Horologium Augusti, un grande orologio solare costituito dallo gnomone-obelisco e da un’area pavimentale rettangolare, in travertino, sulla quale si gettava l’ombra dell’obelisco e dove erano tracciate, su listelli di bronzo, l’indicazione delle ore del giorno nei diversi periodi dell’anno. Durante il Medioevo, l’obelisco crollò al suolo, spezzandosi in cinque parti. Riparato ed eretto nuovamente nel 1794, per volontà del papa Pio VI, fu collocato in piazza Montecitorio, dove posa tuttora. Nell’anno 1979, in alcuni seminterrati in prossimità del Campo Marzio, fu scoperto un tratto dell’antico pavimento in travertino, parte del quadrante dell’Horologium Augusti, a una profondità di 8 metri sotto il manto stradale. Il pavimento recava le incisioni di una linea graduata e di alcuni caratteri in lingua greca riferibili a segni zodiacali e a indicazioni meteorologiche e stagionali.

Il merkhet, meridiana notturna egizia 

Uno strumento di alto valore scientifico, il merkhet, fu creato dagli Egizi allo scopo di misurare il tempo durante la notte, con funzione complementare rispetto alla meridiana o all’orologio solare, di cui gli Egizi si servivano durante il dì, inutilizzabili durante le ore di buio. Il merkhet permetteva di determinare il tempo osservando la posizione delle stelle.

Il merkhet (in lingua egizia, "strumento di conoscenza") era costituito da un regolo orizzontale, in legno, in metallo o in osso, a cui era fissato un filo a piombo a una estremità. Come gli studiosi deducono da diversi testi, probabilmente il merkhet era usato assieme a uno strumento fungente da “mirino”, detto bay, composto da una nervatura di palma con un intaglio a forma di “V” alla sommità (Figura 5, in alto).

Figura 5

Figura 4. Merkhet databile al 600 a.C., in bronzo e lega di oro e di argento. Il filo e il pesetto sono moderni. Appartiene oggi a una delle collezioni del Science Museum Group, nel Regno Unito.

Credits: https://collection.sciencemuseumgroup.org.uk/objects/co500/egyptian-merkhet-sundial 

 

Figura 4

Figura 5. Replica di un bay (in alto) e di un merkhet (in basso), entrambi necessari per misurare il trascorrere del tempo durante la notte. Gli originali, databili al 600 a.C., sono conservati presso il Royal Museum di Berlino

Credits: https://www.ssplprints.com/image/82467/a-merkhet-egypt-c-600-bc-replica-comp

È verosimile che la misurazione richiedesse l’utilizzo contemporaneo di due merkhet, con il primo allineato con la Stella Polare. È noto infatti che, a causa della rotazione della Terra attorno al proprio asse, nell’emisfero boreale tutte le stelle sembrano ruotare attorno alla Stella Polare, la quale, essendo situata proprio in prossimità della proiezione in cielo dell’asse di rotazione terrestre, appare ferma. Tenendo dunque la Stella Polare come riferimento per il primo merkhet, si osservava il transito e l’allineamento di determinate stelle a un secondo merkhet, dotato di bay. Dall’utilizzo combinato dei due merkhet era quindi possibile stimare lo scorrere del tempo durante le ore notturne.
Le stelle di cui si osservava l’allineamento appartenevano ai 36 decani, o baktiu in lingua egizia, consistevano in stelle o costellazioni su cui si basava l’intera astronomia in Egitto. 

Esempi di moderni orologi solari 

Con il passare dei secoli, furono realizzati orologi solari e meridiane di diverse forme e dimensioni, anche di elevata complessità, ad esempio con quadranti orizzontali anziché verticali, o persino portatili, come nel caso dell’orologio del pastore e del dittico di Norimberga.

Il cosiddetto orologio del pastore, una tipologia di orologio solare cilindrico, si diffuse a partire dal XVI secolo; presentava uno stilo reclinabile e poteva essere facilmente trasportabile (Figura 6). Ponendo lo strumento verticalmente e osservando l’ombra dello gnomone nella posizione corrispondente al giorno considerato, era possibile ricavare un’indicazione approssimata dell’ora. Esemplari realizzati con materiali poco pregiati, come il legno, erano in uso presso i pastori in molte parti d’Europa, e per questo lo strumento fu ribattezzato l’orologio del pastore. È stato riportato che alcuni pastori nei Pirenei ne facessero uso fino a 150 anni fa.

Figura 6

Figura 6. Orologio solare cilindrico trasportabile, datato 1548 e conservato presso il Kunsthistorisches Museum a Vienna, in Austria.

Credits: https://www.habsburger.net/en/media/cylindrical-sundial-1548-0

Nel XVII e XVIII secolo, in Germania, ebbe particolare fortuna il dittico di Norimberga (Figura 7) orologio solare portatile in legno, avorio e altri materiali. Era costituito da una scatola di piccole dimensioni, solitamente rettangolare, con un’apertura a libro, contenente una bussola per l’orientamento dello strumento nella direzione Nord-Sud e diversi quadranti orari.

Figura 7

Figura 7. Dittico di Norimberga datato 1599 e conservato presso il British Museum, a Londra, nel Regno Unito.

Credits: https://www.britishmuseum.org/collection/object/H_1862-0809-4

 

L’orologio solare nella Basilica di San Petronio, Bologna 

Un particolare, e accuratissimo, esempio di orologio solare pavimentale si trova nella Basilica di San Petronio, a Bologna. Fu costruito nel 1657 e, con i suoi 66,8 metri di lunghezza, è considerato il più lungo del mondo. Ideato e progettato dall’astronomo Giovanni Domenico Cassini (1625-1712), questo orologio solare rileva con precisione il mezzogiorno vero locale durante tutto l’anno. A intervalli regolari sono incisi i segni zodiacali, i nomi dei mesi, i due equinozi e i due solstizi. Sono proprio queste aggiunte a distinguerlo da una meridiana, che, come si è detto, indicherebbe solo il mezzogiorno, senza fornire altre informazioni. Lo gnomone non è, in questo caso, un’asta, ma un foro posto in una posizione elevata all’interno della chiesa, a 27,07 metri da terra: quotidianamente, quando il cielo non è nuvoloso, i raggi solari, entrando attraverso tale apertura al mezzogiorno vero locale, creano un cerchio luminoso a terra, in corrispondenza della data del giorno segnato sul pavimento. Altri orologi solari simili, di pregiata fattura, sono presenti in varie chiese italiane. A titolo di esempio, si pensi all’orologio solare della Chiesa di San Nicolò l’Arena a Catania, a quello situato nel Gran Salone della Meridiana al Museo Archeologico di Napoli e agli esemplari nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma e nel Duomo di Milano.

 

Figura 8

Figura 8. L’orologio solare pavimentale, progettato da Giovanni Domenico Cassini, all’interno della Basilica di San Petronio, a Bologna.

Per ulteriori informazioni: https://www.basilicadisanpetronio.org/basilica/la-meridiana/
Credits: https://www.basilicadisanpetronio.org/wp-content/uploads/2016/12/meridianaweb4-1.jpg

 

L'Ange du Meridien
(Chartres)

Figura 11

Figura 11. L’Ange du Meridien, Cattedrale di Notre-Dame di Chartres, Francia, protagonista del componimento poetico di Rainer Maria Rilke.

Credits:  https://en.wikipedia.org/wiki/File:Chartres_Cadran_solaire_210209.jpg

Tra i nembi che si scaglian furibondi
contro le mura della cattedrale
quasi a negarne i meditati sensi,
ci si avverte repente piú leggieri,
attratti su dal tuo divin sorriso,
Angelo bello, sensitiva forma,
ch’ài cento bocche ed una bocca sola. 

Non scorgi tu come le nostre ore
scivolan via dal tuo quadrante colmo,
ove girano i numeri del Tempo
incisi tutti quanti in un sol peso
greve e concreto, quasi che, sbocciando,
tutte l’ore, per noi, fossero ricche
di una ricchezza sola? 

Angelo, tu – di pietra – che ne sai
del nostro umano vivere nel mondo?
E non sorreggi, forse, il tuo quadrante
con più beato sfavillar del vólto,
immerso nella tenebra notturna?

 

Così scrive Rainer Maria Rilke (1875-1926), Nuove Poesie (1907-1908), ispirato dalla statua dell’angelo che regge un orologio solare, collocata sulla facciata meridionale della cattedrale Notre-Dame di Chartres, in Francia. La traduzione è di Vincenzo Errante.



Bibliografia

Bernardi, G., Giovanni Domenico Cassini. A Modern Astronomer in the 17th Century, Springer, Berlin, 2017 

Eden, K. F., Lloyd, E. (enlarged and re-edited by), The Book of Sun-Dials, Originally Compiled by the Late Mrs. A. Gatty, George Bell and Sons, London, 1940 

Hannah, R., Time in Antiquity, Routledge Taylor & Francis Group, London, New York, 2009 

Heilbron, J. L., The Sun in the Church. Cathedrals as Solar Observatories, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts), London, 1999  

Marshall, R. K., Sundials, The Macmillan Company, New York, Collier-Macmillan, London, 1963

Schaldach, K., Die antiken Sonnenuhren Griechenlands. Die Funde in historischer Sicht, Topoi, Berlin, 2021

Schaldach, K., Die antiken Sonnenuhren Griechenlands. Katalogue - Analysen - Texte, Topoi, Berlin, 2021

Stocks, D. A., Experiments in Egyptian Archaeology. Stoneworking technology in Ancient Egypt, Routledge Taylor & Francis Group, London, New York, 2003