a cura di Anna Maragno

«Ruscello è il tempo eguale»1

Orologi ad acqua 

Ci dedicheremo ora agli orologi ad acqua. I primi esemplari, realizzati nell’antichità, rappresentavano un’evoluzione delle clessidre ad acqua e avevano lo scopo di  misurare in modo più accurato il trascorrere del tempo. Con il passare dei secoli, gli orologi ad acqua si arricchirono di decorazioni, acquisendo  non di rado un valore estetico tanto elevato da suscitare meraviglia. Il fascino di questi orologi è ancora vivo al giorno d’oggi: vere e proprie opere d’arte battono ancora i minuti grazie ad ingranaggi azionati dall’acqua.

orologio del Pincio a Roma

Figura 1. L’orologio ad acqua del Pincio, a Roma.

L’orologio ad acqua in età classica e bizantina

Nel mese di maggio abbiamo descritto le clessidre ad acqua, ben conosciute e utilizzate sin dall’antichità classica. Si era detto che alcune di queste, come la clessidra ad acqua dell’alessandrino Ctesibio (III secolo a.C.), avevano raggiunto un livello di complessità tale da poter essere considerate veri e propri orologi ad acqua.
Gli orologi ad acqua sono, dunque, null’altro che clessidre ad acqua particolarmente raffinate. Denominati anche "idrocronometri", sono azionati dal passaggio dell’acqua attraverso i loro (a volte sofisticati) meccanismi.
Sulla scia di Ctesibio, nello stesso secolo Archimede studiò approfonditamente l’orologio ad acqua ideato dal primo, proponendo alcuni importanti miglioramenti per incrementarne l’accuratezza.
Anche Vitruvio si interessò dell’orologio ad acqua di Ctesibio e ne trattò nel nono libro dell’opera De Architectura. Orologi ad acqua pubblici erano presenti a Roma sin dall’età repubblicana: Plinio (Naturalis Historia, VII, 215) ci informa che Scipione Nasica inaugurò il primo della città nel 159 a.C., in un luogo coperto.
Pare che l’usanza di costruire orologi ad acqua monumentali sia proseguita in età imperiale. Secondo le descrizioni fornite dalle fonti, si trattava di strumenti sempre più complessi, a volte persino dotati di campanelle per segnalare il passaggio delle ore. Citiamo, in questa sede, due esempi. Nell’opera Hippias (attribuita a Luciano di Samosata, vissuto tra il 125 d.C. e il 180 d.C., ma considerata spuria), si legge (VIII, 17) di terme romane in cui era collocato anche un orologio ad acqua che produceva un suono definito μύκημα (ossia “muggito”, “ruggito”). Procopio di Gaza, nell’opera Horologium, descrive un orologio ad acqua montato su un edificio nella piazza principale di Gaza. Tale strumento era decorato con rappresentazioni mitiche e provvisto di 12 porte, una per ogni ora del giorno (come sappiamo, infatti, all’epoca si soleva suddividere il dì e la notte in 12 ore ciascuno). 

  

L'orologio elefante

L’utilizzo degli orologi ad acqua fu ereditato dall’Impero Arabo (632 d.C. - 1258 d.C.).  Già nell’XI secolo, Ibn Khalaf al-Muradi, vissuto nella Spagna islamica, spiegava la costruzione di orologi ad acqua, azionati da ruote idrauliche, nel suo Libro dei segreti risultanti dai pensieri,  opera giunta a noi incompleta.
Il culmine della raffinatezza tecnologica fu raggiunto grazie all’apporto di Ibn al-Razzāz al-Jazarī (1136 d.C. - 1206 d.C.), già citato nel nostro percorso a proposito delle candele orarie. Egli progettò ingegnosi orologi ad acqua con effetti spettacolari, tra cui l'orologio dei tamburini, con sette figure che suonavano strumenti a percussione, piatti e trombe, l’orologio dei pavoni e un orologio su una piccola barca. Il più celebre e scenografico dei suoi orologi fu l'orologio elefante, il cui funzionamento è descritto in dettaglio nel suo Libro sulla conoscenza degli ingegnosi dispositivi meccanici. Nella stessa opera erano fornite indicazioni per la realizzazione di candele orarie e di altri orologi.
L’orologio elefante era particolarmente sofisticato. In estrema sintesi (Figura 2), ogni mezza ora una figurina a forma di scriba toccava con lo stilo un indicatore numerato e un uccello in vetta alla cupola di un baldacchino fischiava e roteava. A quel punto, un uomo al di sotto di quest’ultimo poneva una mano sotto il becco di un falcone alla sua sinistra e, dal becco di un secondo falcone alla sua destra, usciva una sfera che spariva nelle fauci di un drago. Un altro uomo in basso, detto 
mahut, ovvero “conduttore di elefante”, vestito con abiti indiani e seduto sulle spalle di un pachiderma, colpiva quest’ultimo alla testa con un’ascia nellamano destra e con un martello nella mano sinistra. La sfera inghiottita dal primo drago riemergeva dalla bocca di un secondo drago e, cadendo su un cembalo posizionato nella pancia dell’elefante, provoca un suono udibile. Le sfere erano infine raccolte in un contenitore vicino alle zampe dell’animale. A quel punto, lo stilo dello scriba si spostava dall’indicatore numerato che segnalava il passaggio del tempo in base ad un calcolo di angoli. Poi il meccanismo si ripeteva. Ad ogni ora che passava, un piccolo foro nella struttura diventava bianco, rendendo visibile la lettura del tempo trascorso. Dopo 12 ore, al tramonto, le sfere raccolte nel contenitore ritornavano al loro posto iniziale, per essere utilizzate nelle 12 ore notturne. L’orologio era dotato di due serbatoi: quello superiore era legato ai meccanismi che indicavano il tempo che passava, mentre quello inferiore ospitava un regolatore del flusso d’acqua che manteneva una pressione costante.
L’orologio elefante si basava su un metodo di suddivisione del tempo fondato su ore di ineguale durata, ossia sull’uso di frazionare l’arco diurno e l’arco notturno in 12 ore ciascuno, indipendentemente dal periodo dell’anno (sistema utilizzato in antichità, come abbiamo spiegato nel mese di marzo).

orologio elefante

Figura 2. Nell’immagine a sinistra, l’orologio ad acqua di Ibn al-Razzāz al-Jazarī detto "orologio elefante", illustrato nel suo trattato sui meccanismi automatici (Il libro della conoscenza di dispositivi meccanici ingegnosi), datato 1206. Il manoscritto qui mostrato è databile agli inizi del XIV secolo. A destra, una recente riproduzione dell’orologio elefante esposta a Ibn Battuta Mall, a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.

L'orologio ad acqua nell'Estremo Oriente 

Come si è accennato,  le clessidre ad acqua comparvero in Cina tra il II e il I millennio a.C. e conobbero grande diffusione.  I costanti miglioramenti apportati al meccanismo permisero alle clessidre di “evolvere” in veri e propri orologi ad acquaimportanti anche in ambito astronomico. Tra questi, ricordiamo dapprima l’impiego di ruote idrauliche, poi l’inclusione di complessi ingranaggi automatici, entrambi introdotti negli stessi secoli in cui fioriva la civiltà arabaL’interesse del popolo cinese verso gli orologi ad acqua proseguì inalterato  e giunse all’età moderna: basti pensare all’affascinante esemplare della città proibita di Pechino, costruito nel 1745 (Figura 3)

 

Orologio cinese ad acqua

Figura 3. L’orologio ad acqua, realizzato nel 1745, dotato di vasi di bronzo e di una scala calibrata, all’interno della Sala degli Orologi, presso la Città Proibita, a Pechino, in Cina.

 

Anche in Corea si sviluppò  tale tecnologia: a titolo di esempio, nominiamo il Chagyongnuun avanzatissimo orologio ad acqua automatizzato costruito nel 1434 da Jang-Yeong-sil (1390 d.C. - 1442 d.C.), grande uomo di scienza, su commissione del rSejongLo strumento era alimentato da acqua corrente e i segnali del passare del tempo erano attivati da un sistema di biglie che cadevano. L’orologio non richiedeva l’intervento umano ed era esternamente abbellito da figure dello zodiaco che, ad intervalli regolari, apparivano per annunciare le diverse ore del giorno.

Due importanti idrocronometri nella città di Roma

In tempi a noi più vicini, il frate domenicano Giambattista Embriaco (1829-1903), insegnante e appassionato di scienza e di tecnica, progettò l’orologio ad acqua del Pincio nel 1867. Lo strumento fu costruito dalla ditta Fratelli Granaglia di Torino e collocato nel Giardino del Pincio, all’interno del parco di Villa Borghese a Roma, in una scenografia studiata dall’architetto Gioacchino Ersoch (1815-1902). In un laghetto ovale, alimentato dall’Aqua Marcia, si innalza una piccola scogliera con ricca vegetazione; sulla cima è posto l’idrocronometro, poggiante sopra un basamento di ghisa (Figura 1).
La struttura è composta da tronchetti e rami di albero; l’orologio è costituito da una torretta con pareti di vetro e un quadrante rotondo, anche questo in vetro, su ciascuno dei quattro lati. Le ore sono indicate in caratteri romani e le lancette sono costruite in ottone. Una piccola quantità d’acqua, sgorgando una volta a destra e una a sinistra, mette in oscillazione due foglioline metalliche unite tra loro e poste in bilico sopra un perno. Queste imprimono il movimento a tutto il meccanismo.
L’orologio smise di funzionare nel 1906 ma fu ripristinato nel 1925. Tuttavia, con il passare dei decenni, lo stato di conservazione dello strumento peggiorò a causa di invasioni di alghe e di incrostazioni dovute all’ossidazione. L’amministrazione comunale di Roma promosse, dunque, un intervento di restauro e l’orologio tornò in funzione nel 2007.
Un idrocronometro analogo, anche questo ideato da Embriaco, si trova nel centro della stessa città, nel cortile di Palazzo Berardi, edificio situato nel Rione Pigna, in Via del Gesù (Figura 4).

 

orologio ad acqua

Figura 4. L’orologio ad acqua di Palazzo Berardi, nel centro di Roma, datato 1882 e progettato da Giambattista Embriaco (1829-1903).



Note

1. Clemente Remora (1885-1957)Nella seral turchina oscuritàin Frammenti lirici (1913),  verso 4.



Bibliografia

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