percorso di Marco Capogni

 

La teoria dell’etere non ebbe successo nella fisica classica. Una vera rivoluzione scientifica sulla natura dello spazio e del tempo si ebbe con la teoria della relatività ristretta di Albert Einstein (Ulma, 1879 – Princeton, 1955), pubblicata nel 1905. In essa si avvertì tutta l’esigenza, dettata anche da fatti contingenti di un rapido sviluppo dei mezzi di comunicazione di fine Ottocento e inizi Novecento, di individuare un qualche osservabile fisico che si potesse utilizzare per sincronizzare gli orologi in vari punti dello spazio e in differenti sistemi di riferimento, per dare così una definizione operativa del tempo. L’incapacità di rilevare cambiamenti del valore di \(c\), nonostante il moto (come dimostrato dall’esperimento di Michelson–Morley), portò Einstein a individuare nella velocità della luce nel vuoto (\(c\) pari a circa 2,9979·108 m/s) la massima velocità ammissibile e una nuova costante universale della natura.
Se \(c\) è la stessa in qualunque sistema di riferimento e indipendente dal moto dell’osservatore e della sorgente, come vuole la relatività ristretta, allora le distanze spaziali e gli intervalli temporali non possono restare invarianti in riferimenti in moto relativo tra loro. Nella nuova teoria di Einstein, allo spazio e al tempo assoluti di Newton si sostituisce dunque un unicum continuum spazio-temporale, con l’estensione del principio di relatività di Galileo a tutti i fenomeni della natura, meccanici ed elettromagnetici. La profonda simmetria tra spazio e tempo raggiunta con la relatività ristretta portò anche all’equivalenza, ovvero a una simmetria, tra la massa \(m\) di un corpo e la sua energia \(E\), secondo la relazione
\[E=mc^2  ~(1).\]

L’opera iniziata con la teoria della relatività ristretta venne completata dallo stesso Einstein con l’estensione del principio di relatività a tutti i sistemi di riferimento, non solo dunque a quelli inerziali ma anche a quelli accelerati. L’equivalenza di tutti i sistemi di riferimento, quale più alta simmetria tra lo spazio e il tempo, portò lo scienziato a formulare la sua teoria della relatività generale, pubblicata nel 1916. In essa si comprende la vera natura del campo gravitazionale.

 

 spaziotempoeinstein la curvatura dello spazio tempo dovuta alla gravita
 fig. 5, Spazio e Tempo per Einstein
 fig. 6, La gravità quale curvatura dello spazio-tempo

 

Le equazioni di tale campo vengono formulate in modo completamente covariante mediante l’uso di oggetti matematici (i tensori), che permettono di svincolare le equazioni da qualsiasi sistema di riferimento. Esse dimostrano che la materia produce la curvatura del continuum spazio-temporale e che è proprio tale curvatura a determinare il moto stesso della materia. La forza di gravità, dovuta quindi alla curvatura dello spazio-tempo per effetto di grandi masse, ne definisce la geometria; il campo gravitazionale ne costituisce l’impalcatura. Per l’equivalenza tra massa ed energia stabilita dall’equazione (1), anche la luce - quale pura energia - viene curvata nel suo cammino attraverso un campo di gravità; lo scorrere del tempo subisce in presenza di tale campo un rallentamento [5]. Tutto ciò che fu scoperto da Einstein con la sua teoria della relatività generale portò lo stesso a concludere che forse Cartesio aveva ragione nel senso che lo spazio non può essere vuoto, ma vuoto di campo.
La teoria della relatività, sia ristretta che generale, pur presentandosi così rivoluzionaria per la concezione dello spazio-tempo (svincolandosi dalla rappresentazione newtoniana dello spazio e tempo assoluti, molto criticata da Leibniz), rimane tuttavia solidamente e fortemente ancorata al principio del determinismo che domina tutta la fisica classica.