percorso di Marco Capogni

 

foglie, pixabay 2022Il concetto di continuità nelle grandezze osservabili della natura, sostenuto a partire dalla fisica di Aristotele, ha contribuito a costruire l’imponente edificio della fisica classica e della teoria della relatività. Il “quanto elementare d’azione”, ipotizzato da Planck per trovare una soluzione ad hoc ad un problema di infinito in un osservabile fisico (lo spettro del corpo nero), introduce una discontinuità nella natura e diventa un pilastro di tutta la fisica moderna, portando anche a raggiungere importanti innovazioni in diversi campi della scienza e della tecnologia. Il percorso su “La discontinuità della natura” affronta l’evoluzione prodotta dal quanto di Planck in tutto il pensiero scientifico sino ad arrivare ai nostri giorni, dove l’ipotesi del “quanto d’azione” spiega non solo il comportamento della luce e della materia, ma potrebbe essere estesa anche alla struttura elementare dello spazio-tempo.

La natura dello spazio e del tempo, la loro origine, la loro estensione e la loro infinita divisibilità in porzioni e intervalli sempre più piccoli, sono stati temi già affrontati in epoche molto remote, sin dai primi filosofi dell’antica Grecia. All’ipotesi dell’esistenza di atomi in continuo divenire nel vuoto, sostenuta da Democrito (“che ‘l mondo a caso pone” [1]), si contrappose il pensiero di Platone e in seguito quello di Aristotele (“’l maestro di color che sanno” [2]”).

Nel suo Timeo (Τίμαιος), Platone (Atene, 428 – 348 a.C.) nega l’esistenza del vuoto, seguendo la linea della scuola eleatica di Parmenide (Elea, 515 – 450 a.C.), che Platone, pur allievo di Socrate (Atene, 470 – 399 a.C.), definisce ‘maestro venerando e terribile’. L’estensione spaziale è piena di materia, mentre il cosmo è lo scenario di uno spazio immutabile e un grande orologio per il tempo, considerato ‘immagine mobile dell’eternità’: il moto regolare dei pianeti garantisce la ‘custodia e distinzione dei numeri del tempo’ (διορισμòν καί φυλακὴν αριθμῶν χρòνου).

Anche Aristotele, allievo di Platone, è attratto dall’ordine cosmico come il suo maestro. Nella sua Fisica (Φυσικής Ακροάσεως), lo Stagirita dà una definizione operativa di spazio come il ‘luogo’ (τόπος) o posizione di un corpo fisico tra gli altri corpi con una sua esistenza autonoma indipendente dai corpi stessi: differenti punti dello spazio mantengono la loro identità da un istante a quello successivo; l’intervallo di tempo viene inteso come ‘numero del movimento (ἀριθμός κίνησεως) tra il prima e il poi’ e non dipende dalla posizione spaziale. Aristotele dunque, in modo differente da Platone, considera spazio e tempo relativi alla sostanza materiale, tuttavia anche nello schema aristotelico ordinato e simmetrico, come in Platone, non c’è spazio per il vuoto e gli atomi di Democrito. Lo stato di riposo è dinamicamente privilegiato rispetto a tutti gli altri stati di moto e particolare importanza rivestono i luoghi naturali. Aborrendo il vuoto, Aristotele rifiuta anche il concetto in natura di infinito (ἄπειρον) in atto - ovvero in modo compiuto (ἐντελέχεια) - e considera il tempo la vera via per l’infinito, inteso però sempre in potenza (δύναμις), ovvero ottenibile per aggiunzione (o, per le grandezze per cui è possibile, per sottrazione).

 

democrito Aristotele filosofo greco copia
fig. 1, Democrito ( Abdera 460 - 360 a.C.) fig. 2, Aristotele (Stagira 384 - Calcide 322 a.C.)

I concetti di continuità, ordine e simmetria per lo spazio e il tempo presenti nella filosofia di Platone e di Aristotele, vengono pienamente ereditati e accettati dalla fisica classica di Galileo Galilei (Pisa, 1564 – Arcetri, 1642) e di Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 1642 – Londra, 1726). Circa 2000 anni dopo Aristotele, con Galileo ebbe inizio la scienza moderna alla base della quale egli pose due principi fondamentali:
1) la conoscenza del mondo fisico attraverso l’esperienza, condividendo dunque in qualche modo con Aristotele l’approccio più empirico rispetto al pensiero di Platone ma andando oltre Aristotele nel metodo di indagine della natura;
2) la descrizione dei fenomeni naturali con il linguaggio della matematica, soprattutto la geometria che era stata brillantemente e ampiamente sviluppata nella Grecia antica (il motto all’entrata dell’Accademia di Platone era “Ἀγεωμέτρητος μηδεὶς εἰσίτω”, ovvero “non entri nessuno che non conosca la geometria”), trovando il proprio coronamento nelle ultime scoperte di Archimede (Siracusa 287 -212 a.C.).
Nell’interessarsi di filosofia naturale, Galileo si scontrò subito con gli aristotelici del suo tempo, che, secondo l’ipse dixit, seguivano pedissequamente gli insegnamenti di Aristotele. Galileo credeva che l’horror vacui di Platone e Aristotele potesse essere superato. Il suo allievo Evangelista Torricelli (Roma, 1608 – Firenze, 1647), basandosi sul metodo sperimentale del maestro, arrivò a dimostrare (attraverso studi sulla pressione che lo portarono a costruire lo strumento del barometro) che il vuoto può esistere in natura.
Più tardi, Cartesio (Descartes, 1596 – Stoccolma, 1650), identificando nella sua filosofia della res extensa lo spazio con il corpo esteso, riaffermò nuovamente la negazione dell’esistenza di un vuoto assoluto, come Platone e Aristotele. Egli per giustificare la gravità ammise l’esistenza di una materia sottile e imponderabile in continuo stato vorticoso. Questa sua idea, da cui nacque la corrente filosofica del meccanicismo, influenzò tutto il pensiero della fisica classica, dove dominante è stato il ruolo della geometria, del concetto di forza e successivamente di quello del campo. Il dibattito tuttavia sullo stato e sulla natura del vuoto non fu più ripreso sino ai tempi della fisica moderna. Sul concetto di infinito e sulla natura dello spazio e del tempo, Galileo ritenne inconveniente discorrere troppo sul primo per i paradossi che comporta e conveniente non interrogarsi troppo sul secondo perché tema abbondantemente discusso dai filosofi antichi.
Diversamente egli approfondì il fenomeno del movimento da un punto di vista quantitativo (argomento tra i primi ad essere studiati nell’antichità). Elaborando i dati provenienti da esperimenti da lui ideati e condotti, riuscì a mettere in risalto la vera natura del fenomeno del moto, che difatti nasconde una profonda simmetria dello spazio e del tempo per cui le leggi dinamiche sono esattamente le stesse in tutti i sistemi di riferimento, in moto uniforme gli uni rispetto agli altri. Ciò costituisce il principio di relatività.
La novità di tutti gli studi condotti sulle leggi del moto dei corpi è data per Galileo dal fatto che non vi è alcun elemento che permetta di distinguere realmente lo stato di riposo da quello del moto uniforme. Tale moto, che può avvenire ammettendo implicitamente l’ipotesi di continuità dello spazio e del tempo, è, per usare le sue stesse parole, <come se non fusse>[3]. Il ‘come se’ è particolarmente significativo perché, in modo sintetico, con questa espressione Galileo fa comprendere che non esiste uno stato di quiete dinamicamente privilegiato. Egli considera sicuramente reale il movimento da un punto di vista ontologico, come lo stesso Aristotele che si oppose fermamente agli eleatici i quali, negando il concetto del ‘tutto scorre’ (πάντα ῥεῖ) di Eraclito (Efeso, 535 – 475 a.C.), caddero nelle assurde contraddizioni logiche evidenziate dai paradossi di Zenone (Elea, 489 – 431 a.C.), allievo di Parmenide. Tuttavia, a differenza di Aristotele, Galileo mette in risalto con il ‘come se’ che in linea di principio non vi è alcuno spazio di sottofondo che rimane fisso quando il tempo evolve e quindi non vi è alcun ‘luogo naturale’ favorito, come invece sosteneva il filosofo di Stagira. Il tempo continua però a scorrere per lo scienziato pisano come per gli antichi nello stesso modo in qualunque punto dello spazio fisico e in qualunque sistema di riferimento (nozione di assoluta simultaneità temporale).
Tutti gli studi di Galileo si basano su dati empirici provenienti dall’attenta osservazione del fenomeno e di quantità misurabili ad esso correlate; da ciò è scaturito un nuovo modo di pensare affrancato da molte sovrastrutture ereditate dall’antichità, soprattutto dalla filosofia di Platone e di Aristotele. Questa è la vera novità della nuova scienza, in cui viene definito un nuovo metodo di indagine della natura non attuato nella filosofia naturale degli antichi o da essi effettuato con strumenti rudimentali, per lo più basati sui sensi, senza arrivare a strutturare relazioni matematiche significative tra le quantità osservate e/o osservabili - eccezion fatta nei casi elementari che si trovano nella filosofia di Pitagora (Samo, 580 – Metaponto, 495 a.C.). Il nuovo metodo proposto da Galileo, basato rigorosamente sull’esperimento da cui si deduce la legge fisica, ebbe come diretta conseguenza un cambiamento di paradigma e portò sul piano filosofico ad importanti sviluppi relativi alla teoria della conoscenza.